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Brexit, G-20 in pressing su Londra: «Accordo con l’Ue in tempi certi»

PECHINO - «Molto è stato fatto, molto ancora è da fare per raggiungere l’obiettivo di una crescita equilibrata», sintetizzano in un documento condiviso i ministri delle Finanze e i governatori delle Banche centrali del G-20, riuniti nell’ultima ministeriale prima del gran finale di Hangzhou, a settembre. E c’è la consapevolezza che il quadro generale è ulteriormente complicato dall’uscita della Gran Bretagna dall’Ue, una Brexit che dovrà avvenire in tempi certi ma ragionevoli. I ministri riuniti nel vertice hanno ribadito il no all’uso sleale dei cambi sulle valute estere e il no al protezionismo. Hanno sottolineato la necessità di lottare contro l’overcapacity, specie nell’acciaio, un’istanza già emersa al vertice dei ministri del Commercio appena due settimane fa su insistenza Usa. Hanno concordato sulla necessità di maggiore coordinamento tra le economie globali e sulla necessità di spendere di più per le infrastrutture. I giapponesi hanno riaffermato che non utilizzeranno stimoli pubblici per rivitalizzare l’economia.

Ma quello che è emerso è la nuova posizione della Cina sul metodo da utilizzare per realizzare le premesse per la crescita. É davvero cambiata l’aria se il ministro delle Finanze Lou Jiwei, l’architetto delle politiche fiscali cinesi concepite come complementari a quelle monetarie appannaggio della Banca centrale, ha chiesto al G-20, durante l’Alto simposio di apertura dei lavori dedicato al sistema di tassazione, un salto di qualità invocando un nuovo global tax governance system, ovvero un coordinamento strutturale del sistema di governance globale sulla tassazione.

C’era la consapevolezza, nelle parole di Lou Jiwei - il ministro che per volere del presidente Xi Jinping sta cercando di mettere a posto le finanze cinesi, riducendo il debito e riformando la legge di bilancio che è la sua creatura - che il peggio non è ancora passato nella crisi globale e che la stagnazione del commercio internazionale, il crollo dei prezzi delle materie prime sono fenomeni destinati a proseguire. La Cina chiede per la prima volta aiuto alla comunità internazionale per rafforzare la politica di coordinamento. In questo ha trovato una sponda nel collega americano, Jacob Lew, che ha sottolineato gli elementi di incertezza intrinsechi nel sistema fiscale, soggetto a continui aggiustamenti ex post; ciò rende l’ambiente del business più difficile da gestire. Ma davvero non è più possibile farsi la guerra a colpi di cambi nelle valute estere.

La Cina ospita per la prima volta il G20, a 17 anni dalla nascita, oggi i Paesi che ne fanno parte totalizzano il 90% del Pil mondiale, l’80% del commercio internazionale e i due terzi della popolazione. I Paesi del G-20 devono dunque esplorare una global tax governance dopo i progressi fatti nei Beps projects (Base erosion and profit shifting) che puntano a evitare il sistema dei paradisi fiscali.

Nati nel 2013 al summit di San Pietroburgo i Beps sono considerati un passo chiave nella riforma della tassazione. C’è poi l’impegno a implementare l’Automatic Exchange of Information (Aeoi) entro il 2017 (o al più tardi entro il 2018). Ci sono gli accordi sulla convenzione multilaterale di assistenza amministrativa reciproca. Il ministro cinese ha detto che ci sono i margini per rafforzare la collaborazione anche contro l’evasione fiscale e per ridurre le incertezze sulla tassazione stessa. La Cina creerà per questo un International Tax Policy Research Center, darà un contributo di formazione anche a Paesi in via di Sviluppo, creerà nuove industrie e nuovi modelli di business grazie alla riforma fiscale. Insomma, un sistema di tassazione che sia una garanzia per la crescita globale. Di qui la proposta di ospitare il Simposio insieme alla prossima presidenza tedesca, con il supporto dell’Ocse.

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