Dureranno ancora alcune settimane, forse un mese, i raid mirati delle forze americane contro le postazioni Isis a Sirte si richiesta del governo di unità nazionale libico. Secondo quanto riportato ieri dall’emittente Fox che ha citato fonti governative Usa il presidente americano nel suo ruolo di “chief and commander” avrebbe autorizzato una tale durata delle operazioni perché, come ha ricordato ieri lo stesso Obama: «È nell’interesse della sicurezza nazionale degli Stati Uniti e dell’Europa assicurarci che i libici siano in grado di finire il lavoro per debellare l’Isis».
Da lunedì sono stati almeno sette i raid aerei contro l’Isis a Sirte con gli Harrier decollati dalla nave d’assalto anfibia USS Wasp. Non si esclude affatto (anzi secondo alcuni analisti è assai probabile) che nei prossimi giorni gli Stati Uniti possano chiedere l’utilizzo e il supporto logistico delle basi presenti sul territorio italiano, in particolare Sigonella e Aviano. Se vi sarà una tale richiesta, fanno presente al ministero della Difesa, il Governo italiano «la valuterà» e ne informerà il Parlamento. Ma sarà molto difficile sottrarsi a un simile impegno soprattutto nel momento in cui l’Italia, pur non prendendo parte diretta ai raid, si candida a guidare la missione Liam di stabilizzazione in Libia. Resta ferma la posizione del premier Renzi di non mettere gli scarponi sul terreno. Smentita anche la presenza di ridotti numeri di forze speciali (come hanno gli inglesi, francesi e americani) e che godrebbero, secondo un Dpcm dello stesso Renzi, le stesse garanzie funzionali degli agenti segreti per operazioni di intelligence guidate da Palazzo Chigi.
Il nuovo ordine in Libia che i raid Usa stanno ridisegnando con l’aiuto delle milizie di Misurata e di Tripoli non piace però al generale Haftar di Tobruk e neppure al presidente egiziano Al Sisi che riteneva di avere il completo monopolio della lotta allo stato islamico nella regione. Non piace neppure alla Russia il cui ambasciatore al Palazzo di vetro, Ivan Molotkov, ritiene che i raid siano «illegali» perché servirebbe una nuova risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu, ipotesi subito smentita da un portavoce dell’Onu. Del resto in Libia gli Stati Uniti, come ricorda il portavoce del Dipartimento di Stato, stanno usando lo stesso approccio usato in Iraq e Siria, ovvero aiutare le forze locali che sono a terra.
Ma i più duri contro gi americani sembrano essere gli esponenti del Parlamento di Tobruk e in particolare il presidente Agila secondo il quale «Noi non accettiamo che venga avanzata pubblicamente una richiesta di intervento straniero in Libia; noi chiediamo supporto per il nostro esercito nazionale che combatte contro il terrorismo».
Quanto all’Italia oggi il ministro della Difesa Roberta Pinotti riferirà in un question time alla Camera mentre domani il Governo sarà ascoltato in un’audizione congiunta delle commissione Esteri e Difesa di Camera e Senato. La posizione del Governo italiano prudente ma di collaborazione l’ha spiegata già ieri il responsabile della Farnesina Paolo Gentiloni secondo il quale «l’Italia continua ad essere disponibile a fornire al governo di accordo nazionale l’assistenza che questi potrà richiedere, in particolare sul piano umanitario e sanitario». Gentiloni ha avuto ieri un colloquio telefonico con il primo ministro libico Fayez al Serraj. Nel corso del colloquio Gentiloni ha espresso a Serraj «l’apprezzamento dell’Italia per l’impegno del governo di accordo nazionale contro il terrorismo e per i risultati ottenuti dal governo libico e dalle forze che lo sostengono nell'area di Sirte». Gentiloni ha manifestato il «consenso italiano» alla richiesta di aiuto indirizzata nei giorni scorsi agli Stati Uniti «per contribuire alla sconfitta definitiva di Daesh in Libia, anche sulla base della risoluzione 2259 (paragrafo 12) adottata all’unanimità nel dicembre scorso dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu». Serraj «ha ringraziato l’Italia per l’azione diplomatica e il sostegno umanitario assicurato nei mesi scorsi».
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