Nel complesso scacchiere della guerra contro l’Isis ci sono due attori - una potenza mondiale e una regione estesa della Libia - che sono contrari ai raid americani su Sirte. Sono la Russia di Vladimir Putin e il governo libico della Cirenaica, un esecutivo che si rifiuta da ormai sette mesi di cedere il potere e riconoscere il nuovo governo di unità nazionale a Tripoli.
In Cirenaica l’uomo che tira le fila dei giochi è il generale Khalifa Haftar. Acerrimi nemici dell’Isis, entrambi ritengono illegittima la campagna militare americana su Sirte. Ed entrambi hanno la capacità di complicare una situazione già caotica.
L’importanza della Russia, il suo ruolo geopolitico e il suo potenziale militare sono note. Sull’Esecutivo parallelo che controlla la Cirenaica, e nemmeno tutta, è bene spendere qualche parola. Quando, nell’agosto del 2014, le milizie di Alba Libica conquistarono Tripoli, installando un Governo di tendenze islamiche vicino alla Fratellanza musulmana, i parlamentari, eletti due mesi prima in un voto controverso, si rifugiarono a Tobruk, in Cirenaica, al confine con l’Egitto. Il Paese si spaccò in due. Due i Governi, due i Parlamenti, due i ministeri del petrolio. E due rispettivi eserciti. Per quanto composti da un coacervo di milizie, la spina dorsale del Governo islamico erano le milizie di Misurata. Quella del Governo della Cirenaica, insediatosi ad al-Bayda, e riconosciuto come il solo e rappresentativo dalla Comunità internazionale, era l’armata del potente generale Khalifa Haftar. Il generale sostenuto politicamente dall’Egitto, aveva fatto della lotta ai movimenti estremisti della Libia, ma anche agli islamici del Governo di Tripoli, la sua priorità.
Per un anno e mezzo, Tobruk e Tripoli hanno portato avanti una guerra strisciante, facendo temere il peggio. La svolta arriva in marzo, quando il neo premier Fayez Serraj si insedia a Tripoli e riesce a far dimettere il Governo ombra degli islamici.
In tempi più rapidi del previsto Serraj è riuscito a costruire il consenso intorno a sé, portando dalla sua parte il forziere della Libia, vale a dire la Banca centrale e la compagnia petrolifera di Stato (la Noc), e le milizie di Misurata. Rispetto al riottoso Parlamento di Tobruk, Serraj è più influente e vanta l’aperto sostegno della Comunità internazionale.
In difficoltà nella guerra contro l’Isis, Serraj ha dunque chiesto ufficialmente i raid aerei americani contro Sirte. Eppure senza Mosca e Tobruk, la situazione sul terreno rischia di complicarsi. Ed è l’ultima cosa da augurarsi.
Iniziamo dalla Russia. A prendere la parola è stato l’ambasciatore russo in Libia, Ivan Molotkov : i raid aerei statunitensi in Libia «non presentano elementi di legalità», ha protestato. Sebbene gli alti vertici del Cremlino abbiano finora preferito non esporsi di persona,la posizione dell’ambasciatore non è da sottovalutare. Il 13 luglio il Segretario di Stato Usa John Kerry era volato a Mosca per discutere un accordo ritenuto essenziale per battere l’Isis: operazioni militari coordinate e forse anche congiunte. Con la Russia. Come escludere che ora il Cremlino, irritato dai raid americani su Sirte, rinunci all’accordo e prosegua per la sua strada nella sua campagna in Siria? La recente storia ha dimostrato che se ogni potenza mondiale combatte l’Isis a modo suo i risultati non sono entusiasmanti.
Arriviamo ora Tobruk. Poco dopo i primi raid americani, il presidente del Parlamento, Aguila Saleh, ha espresso una dura condanna: «Le decisioni prese dal governo di Unità libico, che ancora non ha ottenuto la nostra fiducia, violano la Costituzione e l’accordo politico». «Si sostengano e si aiutino - ha aggiunto - le nostre forze armate nella lotta al terrorismo».
Ma «le nostre forze armate» sono quelle guidate dal generale Haftar. E lui non ne vuole sapere di arrivare a un compromesso con le milizie di Misurata, a cui ha fatto la guerra fino a pochi mesi fa. Peraltro voleva essere lui, il liberatore di Sirte. Questo è il grande problema sul terreno. Nella loro campagna militare contro l’Isis in Siria e in Iraq ,gli Usa hanno ripetuto la strategia usata contro i Talebani in Afghanistan nell’ottobre del 2001. Limitarsi a bombardare dal cielo per spianare la strada all’offensiva di forze locali alleate. In Afghanistan era l’Alleanza del Nord. In Iraq sono i peshmerga curdi e l’esercito iracheno, in Libia, in questo momento, gli stivali sul terreno sono le milizie di Misurata. Che tuttavia ,agli occhi di Haftar, sono un ancora un nemico.
Quindi nessun compromesso. Per quanto in linea con la risoluzione 2259 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, incui si esorta gli Stati membri «a sostenere il governo di Accordo Nazionale, su sua richiesta, nella lotta contro l’Isis»,compiere una campagna militare di 30 giorni in Libia, con una parte della popolazione ostile a questo intervento,rischia di aprire un altro vaso di Pandora.
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