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Trump shock: il popolo delle armi può fermare Clinton. Altre defezioni tra i repubblicani

Il candidato repubblicano Donald Trump (Bill Pugliano/Getty Images/AFP)
Il candidato repubblicano Donald Trump (Bill Pugliano/Getty Images/AFP)

Ennesima polemica in serata per una battuta di Donald Trump secondo cui «il popolo del secondo emendamento potrebbe fermare Hillary Clinton», riferendosi alle persone che posseggono armi da fuoco e sottintendendo che la candidata democratica sarebbe favorevole ad abolire il secondo emendamento della Costituzione americana (quello che garantisce il diritto a possedere armi). In realtà Hillary Clinton punta a un rafforzamento dei controlli. Le parole shock di Trump durante un comizio a Wilmington, in North Carolina. Pronta la replica della campagna di Hillary: «Ecco perché Trump è pericoloso. Una persona che sta cercando di diventare presidente non dovrebbe in alcun modo istigare alla violenza».

NEW YORK - Le ultime parole, più calme, ragionate e scritte, di Donald Trump non sono bastate a Susan Collins. Né a un piccolo esercito di 50 veterani della sicurezza nazionale e della politica estera repubblicana, da capi dei servizi segreti a rappresentanti commerciali. Nelle ore successive al lancio del suo piano economico, che doveva restituire una patina di rispettabilità a una campagna più abituata agli assalti che alle proposte, Trump ha perso un'altra dose di credibilità, almeno nell'establishment conservatore e neocon.

Collins, rispettato senatore moderato del Maine e tra le più influenti esponenti donna del partito repubblicano grazie alla presidenza della Commissione Sicurezza in Congresso, ha preso carta e penna e in una presa di posizione pubblicata dal quotidiano della politica per eccellenza, il Washington Post, ha ripudiato Trump. Ha detto che non voterà mai per lui, definendolo un personaggio «crudele» e «indegno» della Casa Bianca, che renderebbe «il mondo più pericoloso». Colpevole anche di un peccato imperdonabile quale è l'abuso del proprio potere ai danni di «chi è vulnerabile, infiammando pregiudizi con l'attacco a minoranze etniche e religiose». E ha citato lo stillicidio di episodi che giudica intollerabili: le prese in giro nei confronti di un giornalista portatore di handicap; i vituperi all'indirizzo di un giudice con radici messicane; per finire con l'aggressione forse più inaccettabile, quella a una “gold star family”, la famiglia americana e musulmana dei Khan medaglia d'oro del Paese perché ha perso il figlio, capitano in missione in Iraq, in circostanze eroiche.

Collins va a rafforzare i ranghi sempre più folti dei senatori che hanno preso apertamente le distanze dal candidato incoronato dal loro partito. Ranghi che già comprendono personaggi di spicco quali Mark Kirk dell'Illinois, Lindsey Graham della South Carolina e Ben Sasse del Nebraska. Altri si sono per il momento limitati a non appoggiarlo.

La lettera dei 50 “disertori” nella sicurezza nazionale e in politica estera non brucia meno per Trump. Viene apostrofato come una minaccia; come, se fosse eletto, «il più irresponsabile presidente» nella storia americana. «Gli mancano il carattere, i valori e l'esperienza», hanno scritto i ribelli. «Sembra che non conosca e non creda negli aspetti fondamentali della Costituzione». Lui risponde minimizzando le defezioni, denunciandone i protagonisti come parte di un sistema corrotto, d'una «elite fallimentare di Washington» responsabile di ciò che afferma essere il declino degli Stati Uniti.

Ma è innegabile che tutti vantano seria esperienza di governo in amministrazioni repubblicane che hanno fatto storia, da Ronald Reagan a George W. Bush. Tra i firmatari del j'accuse anti-Trump si contano Robert Zoellick, ex ministro del Commercio estero (il Trade Representative) poi designato anche alla guida della Banca Mondiale. E Thomas Hayden, che è stato al comando della Cia. Ancora, ecco i nomi di ministri della Sicurezza Nazionale, la Homeland Security creata all'indomani degli attentati dell'11 Settembre 2001: Tom Ridge e Michael Chertoff. E quello del primo direttore nazionale dell'Intelligence ed ex vice Segretario di Stato, John Negroponte.

Anche il nuovo progetto economico articolato da Trump, se nel presentarlo ha evitato gaffe e controversie, ha lasciato scarsa traccia di sé al di là del temporaneo sospiro di sollievo. È stato denunciato, e questo era prevedibile, dalla rivale democratica Hillary Clinton alla stregua di una stanca ripetizione di idee screditate della “trickle down economics”, della teoria che vede ingenti sgravi e incentivi ai vertici dell'economia, ai più ricchi, automaticamente avere un effetto a cascata di generale crescita.

Ma, soprattutto, il suo slogan nazionalista e protezionista che contrappone l'Americanizzazione alla Globalizzazione, carico di promesse quando scarno ancora una volta di dettagli pratici per il miglioramento dell'economia: resta un mistero come sia possibile assieme aumentare la spesa, tagliare drasticamente per tutti le tasse e non far esplodere il deficit. George Bush padre un tempo coniò il termine “Vodoo Economics” per criticare simili eccessi. Trump potrebbe spingere oltre i confini della credulità, cercando di convincere gli americani del ritorno in vita di idee e progetti sepolti. Passando insomma dalla Vodoo alla Zombie Economics.

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