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Nucleare con i cinesi? Londra ci ripensa

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LA PARTITA DELL’ENERGIA

Nucleare con i cinesi? Londra ci ripensa

Theresa May, premier britannica
Theresa May, premier britannica

L’impianto è la punta avanzata del piano nucleare civile britannico, apripista di quella programmazione su tre pilastri che porterà alla costruzione di analoghe strutture a Sizewell (Sussex) e Bradwell (Essex). Una volta a regime le tre centrali garantiranno fra il 20 e il 25% del fabbisogno energetico del Regno, manna in questi anni segnati dalla crisi del Mare del Nord, sempre più avaro nel rilasciare, a costi sostenibili, gas e petrolio.

Hinkley Point sembrava cosa fatta il 28 luglio quando Edf, maggior shareholder del progetto, aveva dato un controverso via al deal con dieci “sì” contro sette “no” in consiglio e dimissioni del cfo Thomas Piquemal, manifestamente contrario. A rigettare nell’incertezza il piano intero ci ha pensato, poche ore dopo, il partner che appariva più entusiasta, la Gran Bretagna a guida Tory. È stata Theresa May, nuovo ospite di Downing Street, a far saltare il banco, confermando così di volersi incamminare su una via molto diversa da quella che David Cameron, e soprattutto George Osborne, vagheggiavano per Londra. Una decisione maturata pochi giorni prima della notizia dell’arresto negli Stati Uniti di Szuhsiung Ho, un advisor del partner cinese per Hinkley, la società di stato Cgn. È accusato di spionaggio nucleare negli Usa, imputazione che stende un’ombra oscura anche sul deal britannico.

L’abbraccio sino-inglese, benedetto da Jim O’Neill, ex partner di Goldman Sachs, oggi sottosegretario al Tesoro e gran sponsor della very special relationship lungo l’asse Londra-Pechino, rischia di farsi ora un glaciale addio. La decisione di Theresa May di congelare il progetto – ogni decisione è formalmente solo rinviata – ha provocato una durissima reazione della Cina che vincola all’intesa sul nucleare civile il suo impegno a investire nel Regno di Elisabetta. Reazione pesante in epoca di Brexit, quando il Regno Unito s’affida più che mai alla «gentilezza degli stranieri» per dirla come il governatore Mark Carney, zavorrato com’è dal deficit stellare delle partite correnti. La Cina vale 40 miliardi di sterline in investimenti esteri, considerando solo i contratti e gli impegni presi dal presidente Xi Jinping durante la recente visita nel Regno e senza dilungarsi su fenomeni collaterali come la scelta della City quale punta avanzata per il “lancio” del renminbi nel pianeta. «Abbiamo investito in Gran Bretagna più di quanto ci siamo esposti in Germania, Francia e Italia messe insieme», ha scandito l’ambasciatore cinese a Londra, aggiungendo che il «passaggio è cruciale» per i rapporti economico-commerciali anglo-cinesi. La premier Theresa May, da parte sua, ha inviato a Xi Jinping una lettera in cui riafferma l’impegno di Londra a «rafforzare la cooperazione con la Cina su commercio, business e temi globali».

È lecito credere che se salta Hinkley Point l’intera strategia britannica da anni focalizzata sull’apertura totale alla Cina, con un vigore che ha irritato anche l’amico americano, potrebbe ridursi in coriandoli, lasciando Londra orfana, al tempo stesso, sia dell’Unione europea sia del colosso asiatico.

Perché, dunque, Theresa May ha azzardato tanto ? Al di là delle suggestioni che evoca la spy story americana, le motivazioni apparenti sono tre. La prima è di ordine personale: lo stile della signora premier porta con sé un approccio tradizionale nelle relazioni internazionali rispetto all’avventurismo filibustiere di Cameron e Osborne. In altre parole il partner privilegiato per Londra, ora che Brexit si va consumando, torna ad essere, con rinnovato vigore, l’America e, in attesa di capire che America verrà, il governo May prende tempo.

La seconda è di ordine strategico. Nick Timothy influente chief of staff della premier s’è sempre espresso contro ogni progetto che implichi vincolanti partnership con Pechino. «Logiche preoccupazioni di sicurezza nazionale – ha scritto un anno fa l’advisor di Theresa May in aperta polemica con le politiche di George Osborne – sono state accantonate per il desiderio disperato di far business con la Cina».

E qui bisogna soffermarsi su 9000 pagine di contratti che legano il governo di Londra alla cinese Cgn (30%) e alla francese Edf. L’intesa che Pechino vuole firmata contemporaneamente prevede, infatti , la costruzione di Hinkley ma quel che più conta l’impegno, vincolante, per Sizewell e Bradwell. Quest’ultima centrale, in particolare, è vicina al cuore della repubblica popolare perchè contempla l’uso di tecnologia cinese, assegnando a Pechino la maggioranza del progetto e non a Edf leader negli altri impianti. Mani cinesi sui reattori britannici? Qualcosa del genere. Pensiero terrorizzante abbastanza per i giovani turchi di Theresa May pronti ad accendere la luce rossa. L’arresto di Szusiung Ho dà loro ragione.

La terza ragione è di ordine economico. La commessa per la prima centrale si basa sulla garanzia di tariffe future – Hinkley Point se mai verrà, non potrà essere a pieno regime prima del 2025 – che sono doppie di quelle attuali, sulla base del cosiddetto “contract for difference” che impegna il governo a sussidiare gli eventuali cali del prezzo di mercato. Per 35 anni.

Sventolando il timore che la Cina sia troppo vicina, Theresa May cerca uno sconto nel prezzo finale? È una lettura possibile che ci porta direttamente a Parigi dove il presidente François Hollande scalpita per chiudere il deal e dare una mano ad Areva. Il gruppo francese non è affatto in forma, per usare un eufemismo, e spera nella commessa Edf-Cgn per costruire i due reattori destinati a Hinkley Point e garantirsi ossigeno finanziario. Un lavoro vitale per il suo futuro anche se tanta ansia non sembra preoccupare i sindacati francesi. Certo non quelli di Edf che hanno denunciato il comportamento del presidente Jean Bernard Levy che, a loro avviso, era a conoscenza della volontà britannica di rinviare il piano, prima del voto a favore di Hinkley Point espresso dal consiglio del gruppo francese. Non aver condiviso con gli altri stakeholders un elemento così importante per i sindacati rende nulla la decisione di procedere con il progetto.

La trama è fitta, oscurata com’è anche dall’ombra di 007 a caccia di segreti industriali. Sapendo quanto sia importante per Parigi la commessa per Areva, Londra, potrebbe aspirare a una riduzione del prezzo “garantito” che rischia di avere ripercussioni economiche spiacevoli per i contribuenti e quindi politiche per il governo inglese. Oppure il Regno è genuinamente arroccato sulle preoccupazioni di Nick Timothy. Se così fosse con Pechino si aprirà una ferita difficilmente sanabile. Per converso la Cina potrebbe offrire opportunità a partner Ue , in una nuova, indiretta ricaduta di potenziali benefici indotti dalla Brexit. Le parole dell’ambasciatore cinese a Londra suggeriscono un’ipotesi di questo tipo.

La mano è complessa. Se è essenziale per Parigi e per il destino d Hollande, per Londra, dopo l’addio all’Ue è vitale.

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