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Banche, Apple, dieselgate: via allo scontro Europa-Usa

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LE PARTITE APERTE

Banche, Apple, dieselgate: via allo scontro Europa-Usa

Uno scontro repentino e puntuale di interessi. Ma anche una divaricazione, lenta e progressiva, di visioni del mondo. Il conflitto economico fra Stati Uniti e Europa è divampato all'improvviso. Ma il fuoco ha covato sotto la cenere fin dai primi anni Novanta, quando la globalizzazione ha ridotto – negli equilibri dell'economia internazionale - gli spazi del mondo occidentale a favore dei Paesi emergenti. Archiviato il Novecento quale “Secolo Americano”, il fuoco ha iniziato ad assumere una consistenza evidente durante la crisi, fino a divampare con lo scandalo del Dieselgate. Il Dieselgate, di cui domani ricorre esattamente un anno, non è stato soltanto un volgare caso di truffa ai consumatori.

Il Dieselgate è stato anche il colpo di pistola finale a ogni velleità tedesca – e dunque, in questo specifico settore, europea - di egemonia sull'automotive industry internazionale. L'obiettivo strategico di Volkswagen, in ottemperanza a una sorta di titanismo faustiano proprio del comparto che ha origine nella vocazione industrialistica totalizzante e quasi totalitaria di Henry Ford, è sempre stato quello di entrare in forza sul mercato nordamericano: il cuore dell'auto internazionale, tanto più oggi con la crescente ibridazione con i giganti del tech. E' finita male, molto male: un accordo da 14,7 miliardi di dollari fra Volkswagen e le autorità americane.

E potrà andare pure peggio: sono ancora aperte le cause civili (fra gli altri, Black Rock e il fondo pensione degli insegnanti californiani Calpers) e quelle con i singoli Stati. Lo scontro sul Dieselgate, che pone nel metodo un tema di correttezza e trasparenza dell'informazione sui dati dei carmakers estendibile a tutti i produttori internazionali, si coglie nel merito della sua importanza strategica soltanto se si pensa al precedente caso Daimler-Chrysler. Ossia il disastro che Daimler ha combinato a Detroit, prima del fallimento della più piccola delle Big Three e dell'arrivo della Fiat di Sergio Marchionne. Daimler ha fatto la mossa giusta: acquistare un produttore per acquisire a fermo quote di mercato americane. Ma ha usato uno stile infruttuoso: durezza da colonizzatori, ogni cosa decisa in Europa, nessun rispetto per la cultura industriale americana. Vedremo che cosa succederà alla tedesca Bayer, che ha acquisito la americana Monsanto per 66 miliardi di dollari (tutto cash, debito incluso).

SCONTRO TRA POTENZE
I principali contenziosi. Dati in miliardi

Allora, ai tempi di Daimler, gli europei-tedeschi sbagliarono a giocare le loro carte sotto il profilo strategico. Adesso, per Volkswagen, la sanzione non è arrivata dal mercato, ma dai regolatori e dai meccanismi di controllo del mercato. Gli stessi che hanno inferto ieri un colpo durissimo a Deutsche Bank: le autorità statunitensi hanno chiesto 14 miliardi di dollari per chiudere la vicenda dei titoli tossici che avevano come sottostanti i mutui subprime. Vicende diverse, che però hanno un fattore comune: la crescente tensione fra i due blocchi industriali, finanziari e politici. Da un lato gli Stati Uniti e dall'altro l'Europa. Un crescendo che, peraltro, non ha soltanto la forza tellurica dell'urto delle due piattaforme continentali.

Questo crescendo è, infatti, reso più sincopato e violento anche dai sussulti interni ai due blocchi: basti pensare alla crescente importanza del protezionismo degli Stati Uniti – nella forma estrema e quasi sciovinista del trumpismo, ma anche in quella più meditata e compassata dei think tank di ispirazione democratica di Washington, molti critici su Ttp e Ttip – e ai fenomeni di autodisgregazione interna dell'Unione europea, dove il fastidio per la moneta unica fa spesso il paio con una irritazione generalizzata per la globalizzazione. Dunque, lo scenario internazionale in cui si inquadra la competizione di mercato e la dura dialettica regolamentare fra Europa e Stati Uniti è ad alta intensità. E i colpi partono da entrambe le sponde. Basti pensare ai 13 miliardi di euro che la Commissione europea ha chiesto all'Irlanda di recuperare da Apple per un trattamento fiscale considerato alla stregua di un aiuto di Stato. E ai 7 miliardi che Google potrebbe dovere pagare come sanzione, dopo la conclusione di una inchiesta per abuso di posizione dominante. C'è quello che succede tutti i giorni sul mercato.

E c'è quello che a lungo non si vede e che, all'improvviso, scompagina il contesto. Negli Stati Uniti a fare saltare il banco è il rapporto finale – nelle sue opacità e nelle sue scorrettezza –con il consumatore finale: un problema di funzionamento del mercato nella sua fase finale. In Europa, invece, a risultare ad alto potenziale esplosivo è il rapporto fra istituzioni – politica e mercato, stati e imprese – nel duplice tentativo di favorire una struttura industriale segnata da minori oligopoli e di fare pagare le tasse là dove si crea la ricchezza. Gli Stati Uniti e l'Europa non sono mai stati così vicini e così lontani. Ed è solo l'inizio.

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