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FED E BANCA DEL GIAPPONE

Fed e Giappone, banche centrali al tagliando sul Qe: la «festa della liquidità» può finire

Lael Brainard, membro del board della Federal Reserve (Reuters)
Lael Brainard, membro del board della Federal Reserve (Reuters)

«Il problema è che c’è un limite a quanto possiamo aspettarci di ottenere da istituzioni indebitate che si indebitano ancora di più». Forse parla a titolo personale. Ma Glenn Robert Stevens, il governatore della Banca centrale dell’Australia, ha probabilmente detto ciò che un po’ tutti i banchieri centrali temono: le politiche monetarie ultra-espansive, che si basano su liquidità ai massimi e su tassi ai minimi per favorire la ripresa dell’economia attraverso l’indebitamento, non possono durare in eterno. Perché gli effetti collaterali potrebbero prima o poi superare i benefici. E, soprattutto, perché presto alcune banche centrali non avranno più possibilità di comprare i titoli necessari per poter continuare a iniettare liquidità sul sistema finanziario come fanno ora. I mercati lo hanno capito: proprio questo li sta mettendo in agitazione.

La settimana entrante, che vede riunirsi la Fed Usa e la Bank of Japan (martedì e mercoledì), si apre sulle Borse con questa consapevolezza: le banche centrali potrebbero presto ripensare la loro politica monetaria. E già una riflessione è in corso. Il consiglio direttivo della Fed (che sta restringendo la politica monetaria) è spaccato in due: calcola Barclays che su 17 membri, 9 sono a favore di una politica monetaria restrittiva e 8 sono invece a favore di un atteggiamento più dolce. Una spaccatura c’è anche all’interno della Bank of Japan. Segno che gli stessi board sono indecisi. E Mario Draghi due settimane fa ha affermato che la Bce sta studiando «tutte le possibili opzioni per assicurare la completa implementazione» del quantitative easing. Come dire: vogliamo andare avanti, ma forse dobbiamo “aggiustare” un po’ il tiro. Questo ripensamento generale è dovuto a vari motivi, alcuni tecnici e altri sostanziali. Il mercato lo sa. E freme.

Primo nodo: la scarsità
Il primo motivo che presto potrebbe indurre le banche centrali a rivedere la loro politica monetaria è banale: per fare quantitative easing (cioè per continuare a stampare moneta come ora) le banche centrali devono comprare titoli sul mercato, ma dopo anni di acquisti i titoli iniziano a scarseggiare. Questo è un problema, ad esempio della Bce. Il suo programma di quantitative easing ha infatti regole ben precise: l’Eurotower non può acquistare titoli di Stato con rendimenti inferiori a -0,4% (che è il livello del tasso sui depositi) e deve comprare quantità di titoli in proporzione al peso che ogni Stato europeo ha nel capitale della Bce stessa. Ebbene: calcola Bloomberg che già oggi ci sono 1.870 miliardi di titoli che non rispettano queste caratteristiche, per cui sono esclusi dal programma della Bce. La conseguenza è ovvia: presto, lasciando così le regole, la Bce non avrà più abbastanza titoli da acquistare sul mercato per proseguire il quantitative easing come lo conosciamo oggi. Ecco perché Draghi sta valutando «tutte le possibili opzioni». Ma anche la Bank of Japan corre un rischio analogo. E se non ci sono più abbastanza titoli sul mercato, gli stimoli monetari attuali non possono andare avanti. Il mercato lo sa. E da un lato lo teme, mentre dall’altro spera che nuovi “conigli” escano dai cappelli dei banchieri centrali.

Secondo nodo: l’efficacia
C’è poi un tema di efficacia di queste politiche monetarie ultra-espansive. Da un lato è vero che senza i vari quantitative easing oggi il mondo starebbe molto peggio. È inoltre vero (come ha ribadito Draghi) che in Europa il quantitative easing ha fatto ripartire il credito bancario (anche se non per tutti). Nessuno può insomma dire che la politica monetaria non funzioni. Anzi. Ma è anche vero che lo sforzo delle banche centrali è sproporzionato rispetto ai risultati. Lo dimostra, per esempio, il fatto che le prospettive future di inflazione non ripartano: come si vede nei grafici a fianco, più la Bce e la Bank of Japan stampano moneta, più il mercato abbassa le prospettive decennali di inflazione. E lo stesso discorso si può fare sulla crescita economica. L’elefante della politica monetaria, insomma, sta partorendo un topolino.

L’unico posto dove il quantitative easing ha avuto effetti forti (anche se meno sull’inflazione) è gli Stati Uniti. Ma gli Usa hanno avuto almeno tre vantaggi, che Europa e Giappone non hanno. Uno: la Fed ha agito con estrema tempestività. Due: lo Stato ha fatto la sua parte, aumentando il deficit dal 2,8% di fine 2007 al 12,4% del 2009. Tre: negli Usa l’economia è finanziarizzata, per cui le imprese reperiscono credito direttamente sui mercati per l’80% senza dover passare necessariamente dal canale bancario. In Europa e Giappone queste condizioni non sono soddisfatte: la tempestività non c’è stata, gli Stati fanno austerità e il credito è “congelato” in un sistema bancario malato.

Terzo: effetti collaterali
Le politiche monetarie ultra-espansive hanno poi potenziali effetti collaterali: «Aumento delle diseguaglianze sociali, squilibrata allocazione delle risorse e bolle speculative», elenca Alberto Gallo di Algebris. Ma, soprattutto, queste politiche danneggiano le banche, le assicurazioni e i fondi pensione: cioè quei soggetti che, in vario modo, dovrebbero sostenere l’economia. In Europa le banche hanno molti problemi, a partire dai crediti in sofferenza italiani. Ma se la politica dei tassi a zero non avesse eroso i loro ricavi e se regole sempre più stringenti le non avessero “imbrigliate”, forse il credito all’economia oggi sarebbe un po’ più vivace.

Ecco perché le banche centrali potrebbero ricalibrare un po’ i loro interventi. La Bank of Japan già questa settimana dovrebbe rendere il Qe più flessibile (così si aspetta il mercato), anche per ridurre l’impatto negativo sui fondi pensione. La Bce dovrebbe cambiare un po’ le caratteristiche tecniche verso la fine dell’anno. La Fed dovrebbe attendere un po’ di più prima di rialzare i tassi. Ma, sotto sotto, il mercato è teso: teme che, presto o tardi, la festa della liquidità possa finire.

m.longo@ilsole24ore.com

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