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No a Trump: il vecchio Bush vota per Hillary Clinton

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No a Trump: il vecchio Bush vota per Hillary Clinton

Donald Trump incontra il presidente egiziano al Sisi a Manhattan
Donald Trump incontra il presidente egiziano al Sisi a Manhattan

In questo momentum di The Donald che sembra difficile contrastare, pochi leader repubblicani si possono permettere di rivendicare quanto andavano ripetendo fino a primavera: mai Trump, #never Trump era hashtag su Twitter e una posizione politica che accomunava giovani del partito come Paul Ryan, speaker della Camera dei Rappresentanti e vecchi maverick come John McCain, il senatore dell’Arizona che fino al mese scorso criticava Donald per gli insulti a Khizr Khan, padre del soldato americano musulmano ucciso in Iraq che ha parlato alla convention democratica.

Politicamente la scorsa primavera è un secolo fa. Adesso, dopo la convention repubblicana di Cleveland che ha incoronato Donald molto dissenso si è spento o rimane critica come quella di McCain che non contesta più una scelta già fatta.

Politico scrive oggi che qualcuno dice ancora no. Il vecchio patriarca dei Bush, George H.W. Bush, ha detto a una Kennedy che a novembre voterà Hillary Clinton. La notizia non stupisce: i Bush padre e figli non hanno partecipato alla convention repubblicana di questa estate, segno che non si son voluti mischiare con l’inevitabile onda trumpiana. Il vecchio Bush, 92 anni, ha detto che voterà la candidata democratica, annuncia Kathleen Hartington Kennedy Townsend, ex vicegovernatore del Maryland e figlia di Robert Kennedy. E posta la notizia con foto sulla sua pagina Facebook «The President told me he's voting for Hillary!!»

Il portavoce del vecchio presidente scrive in una email «il presidente Bush voterà come privato cittadino, un voto privato fra 50 giorni», sottolinea «e non commenta la competizione elettorale in corso». La Hartington Kennedy conferma la sua versione, il portavoce scrive su Twitter che «sta ancora verificando», ma non è detto che questa sia una buona notizia per Hillary. Si tratti di Kennedy, Bush o dei Clinton, in America tira una brutta aria per le dinastie politiche, sinonimo di potere costituito che in tempi di populismo non sono popolari.

L’uscita del patriarca Bush segue di pochi giorni un commento di Robert Gates sul Wall Street Journal. L’ex ministro della difesa repubblicano, esponente dei neocon, esperto di sicurezza e difesa dice quello che dicono altri «esponenti della realpolitik» scrive The Atlantic, «non possono appoggiare Trump, voteranno Clinton».

Scrive Gates quattro giorni fa sul WSJ: « Trump è irrecuperabile. Si ostina a non voler sapere nulla del mondo e di come guidare il nostro Paese e il governo, ed è caratterialmente inadatto a guidare donne e uomini in uniforme. Non è qualificato ed è inadatto a essere commander-in-chief». Con lui anche uno sparuto gruppo di intellettuali neocon: il direttore di Commentary John Podhoretz, il suo collega di Weekly Standard Bill Kristol (attivissimo su Twitter), l’influente scrittore Robert Kagan (non Dick Cheney, ex vicepresidente con Bush che voterà Trump).

Tutto questo in teoria, nella pratica nell’anno elettorale «che è tutto tranne che normale», come scrive qualsiasi columnist americano, accade altro. Accade che in queste ore sia Trump sia Clinton incontrino a New York il presidente egiziano uomo forte del Cairo, il contestato generale Abdel Fattah al Sisi. È normale che i due candidati alla Casa Binaca incontrino il leader di un Paese alleato chiave nel Medio Oriente, ancor più adesso che la zona sembra completamente fuori dal controllo americano. Solo che a Hillary viene chiesto perché e gli attivisti per i diritti civili sollevano obiezioni vista la brutta fama dell’autoritario al Sisi. Trump, che ha fatto scalpore per voler negare l’ingresso negli Usa ai musulmani, va spedito: incontra al Sisi, dice che ha gran rispetto per l’Egitto e appena eletto inviterà al Sisi alla Casa Bianca. (An. Man.)

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