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A rilento la redistribuzione dei profughi da Italia e Grecia

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le ultime statistiche della commissione ue

A rilento la redistribuzione dei profughi da Italia e Grecia

  • –dal nostro corrispondente
Un gruppo di profughi a Lesbo, Grecia
Un gruppo di profughi a Lesbo, Grecia

BRUXELLES – A un anno dalla scelta di ricollocare in tutta Europa i rifugiati arrivati in Italia e in Grecia, la decisione continua a essere di difficile applicazione. Le ultime statistiche mostrano un leggero aumento, ma i numeri rimangono estremamente bassi. Nel frattempo, si avvicina la scadenza dei controlli frontalieri in cinque Paesi dell’area Schengen, tra cui la Germania. Il rischio è che i Ventotto decidano di rinnovare la misura, tenuto conto del difficile contesto politico in molti Paesi.

“In un anno sono state ricollocate 4.455 persone dalla Grecia e 1.196 dall’Italia”

 

Secondo i dati pubblicati stamani dalla Commissione europea, in un anno 5.561 persone sono state ricollocate dalla Grecia (4.455) e dall’Italia (1.196). In totale tra il 2015 e il 2017, l’iniziativa prevede la redistribuzione di 160mila rifugiati provenienti dal Vicino Oriente e dal Nord Africa. Migliori risultati vi sono stati sul fronte del reinsediamento di persone ancora fuori dal territorio europeo: 10.695 rifugiati sono stati accolti nell’Unione, su un totale previsto di 22.504.

Il ricollocamento dei profughi non piace a molti Paesi, soprattutto dell’Est Europa. Si discute sempre più animatamente di «solidarietà flessibile», come viene chiamata dai paesi del Gruppo di Visegrad (Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia e Polonia). Anziché accogliere rifugiati, vorrebbero contribuire alla strategia europea con contributi finanziari. Ciò detto, oggi il vice presidente della Commissione europea Frans Timmermans ha esortato «i Paesi che possono fare di più ad agire urgentemente».

Nel tentativo di frenare l’esodo verso l’Europa, all’inizio dell’anno Bruxelles e Ankara hanno firmato una controversa intesa che prevede il ritorno in Turchia ipso facto dei rifugiati arrivati in Grecia, e da lì la loro eventuale partenza verso l’Unione. L’accordo ha provocato «una netta e continua diminuzione» degli sbarchi sulle isole greche, secondo l’esecutivo comunitario. Da giugno, gli arrivi sono scesi in media a 85 al giorno, rispetto ai 7.000 al giorno registrati nell’ottobre 2015.
Da tempo il futuro dell’intesa è incerto, anche per la deriva autoritaria segnalata in Turchia. L’accordo prevede tra le altre cose la liberalizzazione dei visti per i cittadini turchi che vogliono recarsi in Europa. Per ora, questa parte dell’intesa è in alto mare. Sul fronte finanziario, il pacchetto prevede aiuti europei alla Turchia per 3 miliardi di euro nel biennio 2016-2017. Finora, sempre secondo la Commissione, sono stati allocati aiuti per 2,2 miliardi di euro, mentre sono stati sborsati 467 milioni di euro.

Dinanzi alla difficoltà di controllare le frontiere esterne dell’Unione, alcuni Paesi - Germania, Austria, Svezia, Danimarca e Norvegia - hanno chiesto di poter introdurre controlli straordinari ai confini interni dell’area Schengen. L’autorizzazione di sei mesi scade il 12 novembre. Nella documentazione pubblicata oggi, Bruxelles non prende posizione su un eventuale rinnovo. Si limita a notare che non ha in questo momento motivo per proporre modifiche alla decisione presa in maggio.
Una scelta su questo fronte non dipenderà solo dall’effettiva necessità di meglio controllare le frontiere per via di difficoltà a monitorare i confini esterni dell’Unione. La situazione politica giocherà senz’altro un ruolo. Il ministro degli Interni tedesco Thomas de Maizière ha lasciato intendere il 21 settembre che a meno di sorprese Berlino avrebbe chiesto il rinnovo della misura. Il governo Merkel deve contrastare il successo crescente del partito anti-sistema Alternative für Deutschland.

In parte, ma in parte soltanto, a giocare nella decisione finale sarà anche la nascita del nuovo Corpo europeo di guardie di frontiera. Questo nuovo organismo vedrà la luce ufficialmente il 6 ottobre. Dovrebbe diventare operativo il 6 dicembre. L’obiettivo è di meglio controllare le frontiere esterne dell’Unione. Non sembra, tuttavia, che a breve termine questa iniziativa possa convincere i Paesi più preoccupati ad allentare i controlli ai loro confini nazionali.

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