Il Partito socialista spagnolo si è spaccato in due. E l’impasse politica continua, mentre la Banca centrale spagnola avverte che senza un governo non si possono fare le riforme e che questo avrà effetti negativi sull’economia nei prossimi anni. A sinistra Pedro Sanchez è costretto a difendersi dall’attacco della vecchia guardia socialista. E a destra, il premier uscente, Mariano Rajoy, vede un nuovo spiraglio per formare un governo di minoranza entro la scadenza di fine ottobre. Sfruttando proprio i voti in Parlamento di alcuni deputati socialisti che potrebbero decidere di accordarsi con i Popolari.
Nel Psoe, il Partido socialista obrero espanol, lo scontro - esploso dopo l’ennesima batosta elettorale, quella subita nelle regionali di Galizia e Paesi Baschi domenica scorsa - sta mettendo in evidenza tutti i rancori dell’establishment socialista per il nuovo corso iniziato con le primarie del 2014. Ma è sull’alleanza con il popolare Rajoy che si deciderà il futuro del segretario e del partito. Sanchez ha chiarito da mesi che «i socialisti non appoggeranno mai un governo delle destre, né si asterranno per far nascere un governo di minoranza». Nonostante i «no» già incassati, il leader socialista continua invece a proporre «un governo di rinnovamento nazionale» che dovrebbe coinvolgere anche Podemos e Ciudadanos.
L’attacco al segretario Sanchez
L’ex premier socialista Felipe Gonzalez si è detto «ingannato e defraudato» da Sanchez accusato di essersi «rimangiato la parola dopo avere promesso l’astensione in seconda lettura» e quindi il via libera a un governo di unità nazionale. Mercoledì con un’iniziativa inedita e imprevista, 17 dei 33 membri dell’esecutivo nazionale socialista hanno rassegnato le dimissioni, cercando di costringere Sanchez a lasciare. «L’unica autorità che esiste nel Psoe è la presidente del Comitato federale che, piaccia o no, sono io», ha dichiarato ieri Veronica Perez, socialista sivigliana, considerata molto vicina a Susana Diaz, la presidente dell’Andalusia e fra i maggiori critici di Sanchez e nome di punta per la successione a sinistra.
La Spagna è senza governo da nove mesi: dalle due ultime elezioni, dello scorso dicembre e di fine giugno, sono usciti un Parlamento frammentato e partiti incapaci di trovare un’intesa per dare una guida al Paese. Alle due formazioni che hanno sempre governato in Spagna, i Popolari e i Socialisti, si sono affiancati due nuovi movimenti: Podemos che a sinistra, con Pablo Iglesias ha saputo raccogliere le rivendicazioni delle piazze degli indignati; e Ciudadanos che partendo dalla Catalogna e dalla moralizzazione della politica ha dato voce ai moderati stanchi degli schieramenti tradizionali. Destra e sinistra, vecchio e nuovo, unionisti e separatisti nei confronti della Catalogna (che ieri ha confermato il percorso verso la secessione con un referendum da tenersi nel settembre del 2017): sono queste le direttrici che dividono i partiti spagnoli.
Le alleanze possibili e il monito della Banca centrale
Rajoy oggi può contare sul supporto dei deputati di Ciudadanos per arrivare a 170 seggi che tuttavia non bastano a garantirgli la maggioranza di 176 seggi della Camera. I Socialisti a giugno hanno ottenuto 85 deputati, Podemos ne ha 45 in tutto. La politica spagnola sembra ancora bloccata e persa nelle battaglie dentro e fuori i partiti (anche dentro i Popolari ci sono malumori e Iglesias ha dovuto contenere i dissensi dentro Podemos).
«Le vicende degli ultimi giorni fanno aumentare la probabilità che si arrivi alla formazione di un governo di maggioranza guidato dal Partito popolare prima della fine di ottobre. Pensiamo - dicono gli analisti di Barclays, Apolline Menut e Antonio Garcia Pascual - che la probabilità che questo scenario si realizzi siano di poco superiori al 50 per cento. In ogni caso, il ricorso per la terza volta alle elezioni resta una chiara possibilità che non può essere scartata. Continuiamo invece a considerare poco probabile che si possa arrivare alla formazione di un governo composto da Partito socialista e Podemos».
Ieri la Banca centrale spagnola pur alzando le previsioni di crescita per il 2016 al 3,2% dal 2,8%, ha avvertito che il prolungato periodo di impasse sta ritardando le riforme e avrà un impatto negativo sull’economia spagnola nei prossimi anni.
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