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May: «Brexit al via a marzo, la scelta democratica non verrà sovvertita»

Theresa  May (Afp)
Theresa May (Afp)

«Chi cerca un voto parlamentare su Brexit vuole sovvertire la democrazia. È compito del governo decidere quando innescare l'articolo 50 che sancisce l'uscita dall'Ue, non di Westminster. Per questo confermo che avvieremo il processo quando saremo pronti e questo accadrà entro la fine di marzo 2017…».

Theresa May scioglie l'arcano, sulla tempistica e le modalità del divorzio europeo con un'azione di comunicazione che muove da un'intervista al Sunday Times, una alla Bbc fino all'appassionato discorso alla platea del congresso Tory a Birmingham. Ed è proprio lì che il premier britannico ha scandito i termini della Brexit che verrà annunciando che nel Queen speech della prossima primavera apparirà fra le altre leggi destinate ad essere varate l'atto parlamentare di rigetto dell'adesione all'Ue, una mossa che si consumerà quindi poche settimane dopo l'avvio dell'articolo 50 e la conseguente partenza della maratona negoziale. Con il great repeal bill annunciato da Theresa May nel discorso di Elisabetta II della primavera 2017, le leggi di adesione all'Ue decadranno, seppure con effetto non immediato, ma rinviato alla conclusione del negoziato. Entro il marzo del 2019 Londra dovrà aver finito la trattativa con i partner oppure subirà, di fatto, un'uscita al buio dall'Ue. Il great repeal act è a tutti gli effetti un passaggio parlamentare e nonostante la supremazia dell'esecutivo ribadita da Downing street sulla via di Londra c'è un voto di Westminster sulla Brexit. E non sarà affatto una passeggiata.

Poco dopo, è arrivato il commento del presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk: «È un annuncio benvenuto che fa chiarezza», ha fatto sapere, pur aggiungendo che nel negoziato gli altri 27 difenderanno i loro interessi.

Se questa è la tempistica, il processo è altra cosa. E su questo Theresa May ha voluto essere rassicurante. «L'acquis comunitario (ovvero la summa delle norme varate con l'Ue e adottate da Londra ndr) sarà legge anche per la Gran Bretagna. In altre parole nulla cambierà. Anche per i diritti dei lavoratori Ue oggi residenti che tale diritto manterranno fino a quando io sarò premier». Le eventuali modifiche all'acquis comunitario saranno - e solo se necessario - introdotte da Westminster successivamente. Parole che la signora premier ha voluto scandire con chiarezza per soddisfare la domanda che si leva dal mondo delle imprese alla ricerca di certezze per pianificare – o cancellare – gli investimenti futuri.

Theresa May ha voluto essere chiara anche sul presunto scambio al centro della trattativa anglo-europea, ovvero il libero accesso di beni e servizi britannici al mercato interno Ue come trade off per mantenere l'accesso dei lavoratori Ue nel Regno. «Non torneremo ad essere un Paese sovrano e indipendente per cedere il controllo sull'immigrazione all'Unione europea – ha detto la signora premier – né per ridare autorità suprema alle corte dell'Ue». Un passaggio questo che scolpisce una trattativa in salita per tutti. «Ci sarà da cedere terreno su alcuni fronti per guadagnarne su altri, come in ogni negoziato» ha detto poi Theresa May. La signora premier ha riaffermato la volontà di tenere le porte aperte del Paese «ai migliori» e di volere comunque chiudere una vincente «intesa commerciale». Ma Theresa May è stata veloce ad aggiungere una postilla che gela il sangue a chi sperava in una soluzione davvero morbida dell'impasse e che suona più o meno così: Londra non cerca una soluzione norvegese, né una svizzera ma solo un'intesa fra il Regno Unito nella sua recuperata, piena indipendenza e l'Unione europea. Si calano gli elmetti oltre la Manica e la battaglia sta per cominciare.

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