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Orban cambia la Costituzione contro la Ue e contro i migranti

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DEMOCRAZIA A RISCHIO in ungheria

Orban cambia la Costituzione contro la Ue e contro i migranti

Il referendum sui migranti in Ungheria è stata una sconfitta per Viktor Orban. Ma il premier magiaro - petto in fuori e piglio marziale - non se ne cura e continua nella sua deriva nazionalista e demagogica: «La Costituzione verrà cambiata in Parlamento per bloccare le quote decise dai burocrati di Bruxelles. Nessuno a Bruxelles può decidere chi dobbiamo accogliere e solo i cittadini ungheresi possono stabilire con chi vogliono convivere», dicono nel quartier generale del Fidesz, il partito di Orban. E per modificare la Carta fondamentale e bloccare l’accesso dei rifugiati non ci saranno difficoltà a trovare un accordo con Jobbik, il movimento xenofobo e neofascista, che sta guadagnando consensi nel Paese. La chiusura a Budapest del quotidiano Nepszabadsag, una delle voci più critiche contro l’accentramento del potere nelle mani di Orban, solleva nuove perplessità sul rispetto dei principi democratici fondamentali in Ungheria.

Orban con una campagna referendaria nella quale ha speso oltre 50 milioni di euro è riuscito a mobilitare molta parte della popolazione, schierata comunque, per ideologia e per paura, contro la politica europea sull’immigrazione. Oltre tre milioni di ungheresi hanno votato contro le quote stabilite dall’Unione per ricollocare i migranti tra i Paesi membri. Chi ha votato ha bocciato in massa le quote, ma il quorum non è stato raggiunto - alle urne è andato poco più del 40% degli aventi diritto - e per questo la consultazione popolare di inizio ottobre non può produrre effetti giuridici.
Per raggiungere la maggioranza dei due terzi, necessaria a cambiare la Costituzione, il Fidesz tuttavia può contare sui suoi 114 seggi in un Parlamento che ne ha in tutto 199 e sui 17 rappresentanti del Partito popolare cristiano democratico, oltre che sui 24 deputati di Jobbik che siedono all’opposizione ma non faranno mancare il loro sostegno su un tema a loro molto caro: «Crediamo che il referendum sia stato uno sbaglio - afferma Marton Gyongyosi, uno dei leader di Jobbik - ma non vogliamo ridurci come i Paesi occidentali, non vogliamo immigrati, non vogliamo città multietniche, vogliamo preservare la nostra società monoculturale».

Il referendum e gli obiettivi di Orban
Nei piani di Orban - appoggiato dalla Polonia di Jaroslaw Kaczynski - il referendum doveva essere un plebiscito da sbandierare a Bruxelles per rivendicare una totale revisione delle politiche comunitarie sui flussi migratori. Per Orban infatti i migranti vanno fermati nei loro Paesi, o alla peggio ai confini della Ue. «Orban non aveva bisogno del referendum per cambiare la Costituzione sui migranti. Ha voluto provare la forza del suo partito nel Paese e ha perso, come non accadeva da dieci anni. Ma non lo ammetterà mai», dice Ferenc Gyurcsany, leader carismatico della sinistra ungherese.

Il risultato del referendum ha reso Orban più debole in Europa ma paradossalmente sembra aver rafforzato la sua leadership dentro i confini nazionali. «A volte è come se l’Ungheria fosse un Paese del tutto isolato dal resto del mondo. Così vuole Orban che con la sua campagna martellante ha alimentato la paura della gente per i migranti in un Paese dove gli unici stranieri sono i turisti. Con il referendum Orban ha fatto anche le prove generali in vista delle prossime elezioni del 2018», spiega Robert Laszlo, analista del think tank Political Capital.
Le modifiche alla Costituzione, già predisposte in Parlamento, ribadiscono la necessità di preservare la «sovranità nazionale» e «l’unità della nazione» riafferma la superiorità della Carta di fronte alle regole dell’Unione e - quasi riproponendo il testo del referendum - stabilisce che «i cittadini stranieri potranno stabilirsi in Ungheria solo con l’approvazione dell’Assemblea nazionale».

Leggi che calpestano i principi fondanti dell’Unione europea
Il governo magiaro - che si pone alla testa del cosiddetto gruppo di Visegrad che comprende Polonia, Cechia e Slovacchia - preme su Bruxelles perché venga rafforzata la difesa comune delle frontiere, costruendo recinzioni e respingendo in mare i barconi dei migranti che fuggono dalle guerre, dalle persecuzioni e dalla fame. Un anno fa l’Ungheria ha costruito un muro di filo spinato, alto quattro metri e lungo 180 chilometri al confine con la Serbia, per bloccare i migranti che risalivano i Balcani tentando di entrare nell'Unione. E sempre nella totale chiusura ai rifugiati, il Parlamento ungherese, nel 2015, ha introdotto nuove norme sul diritto d’asilo e il rimpatrio forzato che a giudizio dell'Unhcr, di Amnesty International e da ultimo anche secondo una sentenza del Consiglio di stato italiano, calpestano i diritti dei migranti.

Continuano intanto a Budapest le manifestazioni contro la chiusura del quotidiano liberale Nepszabadsag. Secondo l’opposizione, l’editore Mediaworks che ha deciso di sospendere la pubblicazione fa capo alla cerchia di oligarchi vicini a Orban. «La chiusura del giornale è una vera esecuzione, è una
vendetta», ha detto Viktor Szigetvari, leader del partito centrista Insieme, ricordando le battaglie della testata contro il regime di Orban. Per il Fidesz invece si tratta di «una decisione economica razionale, non politica».
«Sono stati avanzati dubbi sulle ragioni della sospensione. Stiamo seguendo molto da vicino, siamo molto preoccupati», ha fatto sapere la Commissione europea attraverso la portavoce Margaritis Schinas, aggiungendo che la libertà dei media e la tutela dei giornalisti «sono alla base di una società libera e democratica».

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