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INDIA

Tata nel caos: brucia 3,3 miliardi di dollari e l’Authority di Borsa accende i riflettori

L’ex presidente di Tata Sons, Cyrus Mistry (a sinistra), insieme al patriarca della famiglia,  Ratan Tata
L’ex presidente di Tata Sons, Cyrus Mistry (a sinistra), insieme al patriarca della famiglia, Ratan Tata

Il terremoto in casa Tata scuote un intero Paese, trascina al ribasso la Borsa indiana e rischia di diventare un caso politico per il premier nazionalista Narendra Modi. La mossa a sorpresa, con la quale lunedì 24 ottobre Cyrus Mistry è stato rimosso dalla presidenza della holding Tata Sons, alla cui guida è tornato ad interim Ratan Tata, ha lasciato di stucco la comunità finanziaria e ha fatto crollare le azioni delle società quotate del conglomerato, che hanno bruciato 3,3 miliardi di dollari tra lunedì e giovedì. Tata Steel ha perso il 7% dai massimi toccati la scorsa settimana, Indian Hotels il 13,5%, Tata Motors il 6%. Tata Sons è la cassaforte che custodisce le quote di maggioranza delle società dell’impero.

Sull’operazione si sono accesi i fari dell’Authority di Borsa, che, prendendo spunto da una lettera aperta inviata da Mistry al board di Tata Sons, vuole capire se nella gestione del gruppo ci siano state irregolarità finanziarie e falle nella governance e inoltre vuole accertare che informazioni capaci di alterare il prezzo di società quotate siano state comunicate nel rispetto delle regole di trasparenza. Per questo esaminerà prezzi e volumi dei titoli del gruppo, in modo da verificare eventuali ipotesi di insider-trading.

Lo scandalo assume così proporzioni sempre più preoccupanti. Tata Group, del resto, non è un’azienda qualsiasi in India e Ratan è il patriarca di una delle famiglie più influenti nel Subcontinente. Base a Mumbai, fondato nel 1868, sopravvissuto a due guerre mondiali e alla nazionalizzazione della sua compagnia area, Tata Group ha assunto le sembianze di uno keiretsu giapponese o uno chaebol sudcoreano: il più grande conglomerato indiano tiene insieme 29 società quotate (e altre non quotate), con oltre 660mila dipendenti e 103 miliardi di dollari di ricavi (dato 2015, in calo del 4,6% rispetto al 2014). Vende di tutto, dal the alle auto, dall’acciaio al sale, dall’energia ai servizi informatici. Quasi il 70% del fatturato viene dalle attività internazionali del gruppo, che negli ultimi tre anni ha destinato all’estero gran parte dei suoi investimenti.

LE AZIONI DI TATA MOTORS E TATA STEEL
Dati in rupie - (Fonte: Thomson Reuters)

Il gigantismo e il successo di Tata sono opera dei 21 anni di guida di Ratan (78 anni), punteggiati da audaci e sensazionalistiche acquisizioni, spesso celebrate nelle prime pagine dei quotidiani economici internazionali, come quelle dei marchi Jaguar e Land Rover, del produttore dell’acciaio anglo-olandese Corus Group o di Teetly Tea. Con Ratan Tata al timone, i ricavi del gruppo sono passati da 1,5 miliardi di dollari nel 1991 a 100. Negli ultimi 10 anni, però, la campagna di acquisizioni ha moltiplicato di 11 volte il debito, portandolo oltre quota 30 miliardi di dollari. Da quando Ratan ha lasciato, alla fine del 2012, la maggiore preoccupazione del gruppo è così diventata quella di vendere asset e rifinanziarsi.

Non tutte le società del conglomerato godono infatti di buona salute. Tra le peggiori spicca Tata Steel, che nell’ultima trimestrale ha accusato una perdita netta di circa 475 milioni di dollari e di cui Mistry avrebbe voluto liberarsi. L’anno successivo all’acquisizione di Corus Group per 13 miliardi di dollari, nel 2007, Tata Steel generò utili per 3 miliardi di dollari. Ma poco tempo dopo, lo tsunami che a partire dalla Cina ha inondato i mercati mondiali di acciaio a basso costo, comprimendo i margini per tutti, trasformò quei profitti in una perdita costante. Il referendum sulla Brexit ha complicato ulteriormente la vendita delle attività nel Regno Unito, tanto da costringere il gruppo a metterla in stand-by. Anche i profitti di Tata Motors sono in frenata, colpiti dal crollo della sterlina, anche questo un regalo della Brexit, e dal calo delle vendite di Jaguar in Cina. Nonostante il recente calo, le azioni di Tata Motors sono ancora in rialzo del 34% da gennaio. Le vendite del gigante dell’It, Tata Consultancy Services, pagano a loro volta la cautela dei suoi clienti in un quadro economico globale tanto incerto come quello attuale. Tata Motors, insieme a Tata Consultancy Services generano da sole metà dei ricavi del conglomerato. Poi c’è Tata Power, che a marzo 2015 ha chiuso il primo bilancio in utile dopo tre anni e sta cercando di cedere le partecipazioni nelle miniere di carbone in Indonesia. Analogamente, Tata Communications e Indian Hotels stanno tentando di liberarsi di asset esteri per pareggiare le perdite.

QUATTRO ANNI DI GESTIONE MISTRY
Dati in miliardi di dollari

I rapporti tra Mistry e Ratan Tata si erano deteriorati da tempo, ma nessuno, nemmeno all’interno del gruppo, si aspettava una svolta così drastica. L’ormai ex-presidente, tra le altre cose, aveva fortemente criticato la produzione della Tata Nano, la minicar più economica al mondo (2.500 dollari), fortemente voluta da Ratan, lanciata nel 2009 e accolta con grande enfasi dai media, ma poi rivelatasi un flop di mercato.

L’allontanamento di Mistry, che comunque resta nel board di Tata Sons, forte anche della partecipazione detenuta dalla società del padre, Shapoorji Pallonji, che con il 18% è uno dei maggiori azionisti, rimette in discussione le scelte del gruppo e solleva una messe di interrogativi. Tanto per cominciare, il ritorno, anche se temporaneo, del magnate e filantropo Ratan Tata significa la fine della strategia volta a ridimensionare il debito e a vendere tutto quanto non produca utili? Si aprirà al contrario una nuova campagna di acquisizioni in giro per il mondo? Il cambio al vertice è stato comunicato al mercato con una nota asettica, che offre indizi su motivazioni e strategie del gruppo e che sembra fatta apposta per suscitare più domande che risposte. Niente di peggio per gli investitori, che resteranno nel limbo per quattro mesi, fino a quando non sarà trovato un nuovo presidente.

Non alleggerisce il quadro la decisione di non farsi da parte in silenzio presa da Mistry, accusato sulla stampa locale di non avere visione e di svendere i gioielli di famiglia, concentrato più sul rimborso del debito che sulla crescita del gruppo. Mistry (48 anni) sembra deciso a impugnare la sua rimozione e ad aprire una battaglia legale. In una mail di cinque pagine al board di Tata Sons, ha fatto sapere che il conglomerato potrebbe essere costretto a svalutare i suoi asset per 18 miliardi di dollari e ha attaccato apertamente Ratan Tata, accusato di aver boicottato la sua gestione e di aver agito da centro decisionale parallelo al board, i cuoi consiglieri sarebbero così stati ridotti a semplici passacarte. Mistry ha affermato, tra l’altro, che fu un’acquisizione sbagliata di un immobile a Mumbai, decisa proprio dal patriarca nel 2009, ad azzerare il valore netto della intera Indian Hotels, il cui ultimo cospicuo profitto risale al 2008. È questa lettera che ha fatto scattare l’allarme dell’Authority di Borsa, il Securities and Exchange Board of India.

Alla mail sono seguite repliche, le società del gruppo contestano le affermazioni di Mistry, specie le possibili svalutazioni, e lo scontro all’interno di Tata Sons è diventato una lite in pubblico, con un danno d’immagine che non fa che crescere. Meno di quattro anni fa, la scelta di Mistry, primo presidente del gruppo a non essere un membro stretto della famiglia (sua sorella è sposata con il fratellastro di Ratan, Noel Tata), fu sostenuta dallo stesso Ratan, dopo 15 mesi di ricerche tra possibili candidati alla sua successione da parte di un apposito panel . Il patriarca ritornato al timone, ora starebbe cercando partner tra fondi sovrani e fondi d’investimento per rilevare la quota detenuta dalla Shapoorji Pallonji in Tata Sons, che possiede 65 miliardi di dollari in quote delle società dell’impero e che è controllata al 66% dai trust della famiglia Tata.

Il gruppo, da qualche tempo, sembra fare notizia soprattutto per le brutte figure che colleziona. Come la battaglia legale con la giapponese Ntt DoCoMo, suo socio in un accordo finito male, con i nipponici che esigono il pagamento di 1,7 miliardi di dollari da Tata per il mancato rispetto degli obblighi contrattuali. Un episodio di cattiva gestione delle partnership, al quale si somma la multa da un miliardo di dollari subita negli Stati Uniti per aver violato le leggi sulla proprietà intellettuale.

«È uno shock», afferma G. Chokkalingam, direttore generale di Equinomics Research & Advisory a Mumbai: «Il gruppo Tata ha un sacco di problemi, molti dei quali ereditati, come Tata Steel e Tata Motors, oppure dovuti al contesto economico sfavorevole, come nel caso dei servizi It. È molto difficile attribuirli alla leadership». «Queste cose - gli fa eco Ramesh Damani, della Borsa di Mumbai - non succedono alla Tata. È sbalorditivo».

E il danno d’immagine di Tata rischia di riversarsi sul Governo Modi, che si gioca tutto sulla scommessa di saper costruire una nuova iconografia, moderna, efficiente e business friendly, dell’India.

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