Donald Trump passa al contrattacco contro Hillary Clinton sull’onda del nuovo scandalo delle e-mail. Investe le scarse risorse che ha in rinnovate campagne pubblicitarie, gettando nei forzieri dieci milioni di dollari della fortuna personale con i finanziatori finora avari di contributi presentendo una sua probabile sconfitta. E alza i toni nei comizi, da una costa all’altra del Paese: Hillary Clinton è la più corrotta di tutti. Lo scandalo deve essere trattato come un attacco alla sicurezza nazionale. E i sondaggi lo incoraggiano, si stringono prima ancora che l’impatto dell’ultima svolta sul caso si faccia sentire: il più recente rilievo del Washington Post e della Abc, aggiornato a giovedì, trova il candidato democratico che supera il rivale repubblicano di soli due punti su scala nazionale, 47% a 45 per cento. Una settimana fa il margine era ben più ampio, 48% a 39 per cento.
Trump ha definito lo scandalo come il «più grave dall’epoca del Watergate», azzardando un parallelo con il furto organizzato dalla campagna repubblicana di Richard Nixon di documenti dagli uffici del partito democratico a Washington che portò al procedimento di impeachment contro il presidente.
Il direttore dell’Fbi James Comey venerdì, a sorpresa, ha annunciato la riapertura - o meglio un supplemento - delle indagini sulla vicenda delle email della Clinton, quando era segretario di Stato, gestite dal suo server personale. Una decisione presa dopo aver scovato nuovo e non meglio definito materiale nel computer dell’ex marito della stretta collaboratrice di Clinton, Huma Abedin: l’ex deputato Anthony Weiner, la cui carriera è stata bruciata da scandali di sexting e sotto indagine per aver inviato immagini e messaggi osceni a una ragazza di 15 anni in North Carolina. Comey ha affermato che gli agenti non hanno tuttora determinato la rilevanza delle nuove e-mail scoperte, comparse in un conto di posta elettronica che Abedin aveva sul pc del marito, fatto che ha generato ancora più confusione sullo stesso operato dell’Fbi.
Il presidente della campagna elettorale di Clinton, John Podesta, ha criticato esplicitamente Comey, sostenendo che il suo intervento è «straordinario» nella storia delle elezioni americane e che le sue dichiarazioni sono «piene di insinuazioni e povere di fatti». Ha aggiunto che Comey «deve delle spiegazioni all’opinione pubblica» e che, da quanto ha ammesso, «non ci sono prove di violazioni, né accuse e neppure indicazioni che questo materiale abbia davvero a che fare con Hillary». Anche il sospetto che Comey possa aver agito per un eccesso di cautela e per proteggere la sua posizione da futuri attacchi repubblicani e che l’Fbi, formalmente alle dipendenze del Dipartimento della Giustizia, sia vittima di battaglie politiche interne è stato adombrato da alcuni analisti democratici.
Clinton ha chiesto ora all’Fbi e a Comey immediati chiarimenti, a cominciare dal rilascio di tutto il materiale in loro possesso per evitare il pericolo di inquinamenti negli ultimi giorni della campagna. Ha anche indicato di ritenere che gli elettori abbiano ormai tenuto conto del caso delle e-mail, del quale si è scusata ma sempre sostenendo di non aver commesso reati, e che ora è importante evitare distrazioni e «scegliere un presidente».
Ma la paura serpeggia tra i democratici, anche ai vertici della campagna e del partito. «Siamo stati investiti da un autotreno», ha ammesso Donna Brazile, vicina alla Clinton e alla guida del Comitato nazionale del Partito democratico. Il timore è che gli sviluppi, anche se rimanessero avvolti nell’ambiguità e non rivelassero nuovi errori o peggio reati, possano pesare nella dirittura d’arrivo verso le urne. Possono aiutare Trump a mobilitare il suo elettorato, come già dimostrato dai primi rally del fine settimana. E soprattutto potrebbero alienare elettori ancora indecisi e indipendenti, che già vedono nella Clinton un deficit di onestà e trasparenza, e raffreddare gli entusiasmi della stessa base democratica, che fin dalle primarie aveva mostrato scarso entusiasmo per la candidata.
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