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Dossier La rimonta di Trump costringe Obama a tappare le falle di Clinton

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La rimonta di Trump costringe Obama a tappare le falle di Clinton

(Reuters)
(Reuters)

Donald Trump in un comizio in Florida dice ai suoi fan «vinceremo» e a se stesso «rimani concentrato»; poche ore prima Barack Obama va in una trasmissione radio che piace ai neri per chiedere loro di votare Hillary, scelta scontata con lui ma non con lei nonostante la comunità afroamericana sia tradizionalmente democratica e Bill Clinton sia stato stato ribattezzato «primo presidente nero» tanto era la sintonia con questo elettorato.

Il finale di partita di Obama racconta bene il nervosismo fra i democratici a cinque giorni dal voto: la paura di perdere la Casa Bianca e di un Trump presidente costringe Barack a fare quello che non aveva mai fatto: il nero che chiama a raccolta i neri. Lui che è stato accusato di non esserlo abbastanza perché lontano dall’impostazione radicale di molti leader afroamericano - al contrario della moglie Michelle che ha sempre interpretato il ruolo con disinvoltura e convinzione - chiude la sua stagione agitando i fantasmi del Ku Klux Klan. Lui che si è sempre smarcato dall’apparire espressione di una minoranza in virtù anche di una identità complessa - figlio di una bianca e di un kenyota - chiede ai fratelli di aiutarlo «a non disperdere la sua eredità».

La scelta retorica, per un fuoriclasse dei discorsi, va oltre la sconfessione del capo dell’Fbi che mette in imbarazzo la pasticciona Clinton. È un finale di partita senza più regole, dove il vecchio appello agli elettori pare prevalere su tutto il resto. Politica da strada, pochi intellettualismi, molte paure e meno speranze del 2008 o di questi anni, quando Obama chiedeva agli afroamericani di non rinchiudersi nel ghetto della commiserazione.

È anche un’ammissione degli errori della campagna Clinton, «lontana dalla classe media» per sua stessa ammissione mentre persino gli amici mercati danno segni di nervosismo e 370 economisti fra cui alcuni Nobel scrivono una lettera sul rischio Trump.

Nel campo avversario, The Donald vive gli ultimi giorni con l’adrenalina del sicuro perdente che vede una piccola chance di vittoria. I sondaggi ballerini indicano una sua rimonta, i repubblicani disillusi che mai l’avrebbero voluto candidato hanno deciso di votare per lui, ma non è il classico «ritorno a casa», scrive David Frum su The Atlantic, «perché la casa repubblicana è stata spazzata via dai bulldozer di Trump e rimpiazzata con un edificio fatto a sua immagine e somiglianza». Donald disinvolto gioca di nuovo la carta Melania, la moglie che in estate ha parlato alla convention e plagiato un discorso di Michelle.

In questo scenario di incertezza, la cartina degli Stati Uniti muta in continuazione, bisogna guardare gli stati in grigio perché è li che si assegna la vittoria - vince chi ottiene 270 voti cioè i grandi elettori, ogni stato ne assegna un numero diverso a seconda del numero di abitanti. Domani o anche stasera questi colori potrebbero improvvisamente cambiare tanto esile è il vantaggio di Hillary che solo pochi giorni fa sognava di vincere facile anche il Congresso.

GLI STATI CHE HANNO MANTENUTO LO STESSO VOTO NELLE ULTIME 6 ELEZIONI
(Fonte: The American Presidency Project)

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