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La risposta cattiva e l’alternativa peggiore

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clinton o trump?

La risposta cattiva e l’alternativa peggiore

Donald Trump (Ap)
Donald Trump (Ap)

Ad occhi europei, la prima apparizione di Donald Trump tra i candidati alla presidenza degli Stati Uniti, deve aver ricordato la comparsa all’orizzonte di TurTur, il gigante della favola tedesca, che da lontano sembra enorme, ma che si rimpicciolisce tanto più si avvicina. È un’immagine letteraria per convincere i bambini che le loro paure sono esagerate e che saranno sempre in grado di confrontarsi con ogni realtà. Anche quello europeo era in fondo un pensiero infantile. Una certa ingenua fiducia nella democrazia spingeva a credere che, alla fine, un elettorato maturo come quello americano avrebbe espresso una scelta razionale, di auto-conservazione, o una preferenza utilitaristica.

Ma Trump fa parte di un altro mondo della fantasia diventato reale anche in Europa. Un sociologo tedesco individua nelle motivazioni dei nuovi elettorati anti-sistema, o xenofobi, un “desiderio di punizione”, una pulsione che è al tempo stesso protezione di valori e castigo, e che si esprime tra i più forti e al tempo stesso tra i più deboli. Trump è la figura che convoglia le paure e le ritorsioni, il secondo emendamento e le pallottole, ingrandendo se stesso passo dopo passo, inglobando valori e vittimismo, modificando il linguaggio e il paesaggio che attraversa.

Solo in parte il voto sarà deciso da argomenti razionali e dal giudizio degli elettori sulla globalizzazione o sulla disuguaglianza. La potente liturgia della sfida presidenziale non ha disperso, bensì rafforzato, un equivoco originario che ha corroso la scelta raziocinante: tra pochi giorni gli Stati Uniti voteranno candidati i cui profili sembrano tratti dai cliché sull’America Latina, la moglie di un ex presidente contro un populista caricaturale. Per quanti talenti entrambi possano avere, e certamente Clinton ne ha, un sistema politico iper-polarizzato, un sistema mediatico isterico e la sconvolgente trasformazione dei social media in camere ad eco, li hanno resi parodie di se stessi o puri bersagli antagonistici.

È tuttora probabile che la maggioranza dei collegi finisca alla candidata democratica, che il Senato cambi di mano e che la maggioranza repubblicana alla Camera si riduca.

Ma i sismografi elettorali paventano che l’esito dipenda da dettagli di solito irrilevanti: lo sciopero dei mezzi pubblici a Philadelphia, il rischio di uragani in North Carolina e in Florida, vecchi filmati su Trump o nuove e-mail di Hillary. Poco più di un soffio su un castello di carta, e il 2016 passerà alla storia come l’anno in cui per la prima volta una donna sarà l’individuo più potente del pianeta, o invece come l’anno in cui finirà l’ordine globale retto dai valori della Costituzione americana.

Di questo ordine globale fanno parte elementi come il destino della Nato, i rapporti con la Russia e il futuro del commercio mondiale, che vedono l’Europa più esposta di chiunque altro, qualunque sia il futuro presidente.

Trump ha messo in questione la funzionalità della Nato e perfino i suoi principi. Ha vantato una grande sintonia con Vladimir Putin e ostentato disprezzo per l’Unione europea. Infine ha attaccato il libero scambio. Non è necessario assecondare le teorie cospirative, secondo cui il voto di martedì è stato influenzato da un arco oscuro che include Mosca e Riad e che condivide l’interesse per prezzi del petrolio più alti e per assetti violenti in parti del Medio Oriente, per capire come la capacità di intervento europeo sullo scacchiere globale sia inadeguata, senza l’appoggio di Washington e nella confusione mentale di Londra. Molti Paesi europei si stanno chiudendo al mondo esterno nel momento stesso in cui le minacce stanno crescendo e l’alleato tradizionale è meno in grado di aiutarli. Il caso Brexit è certamente esemplare. La paralisi elettorale franco-tedesca non aiuta. Bruxelles è sempre più indebolita.

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A Washington, l’Europa viene descritta come un continente che ha perso il controllo dell’immigrazione e ha fallito nell’integrazione. L’idea europea secondo cui il perdono, non il castigo, è la radice etica della giustizia, non ha più potere di convinzione ora che Barack Obama abbandona la scena. Trump crede piuttosto nei muri e negli oceani e nel fatto che popolazioni europee che si sentissero fragili, invocherebbero l’uomo forte, proprio come molti americani impauriti hanno risposto con cieca gratitudine alle sue suggestioni. Normalizzando atteggiamenti che prima di lui erano per lo più intollerabili, Trump sta abbattendo i tabù delle culture democratiche: il rispetto per le donne, la promessa di incarcerare l’avversario politico, il discredito sulle procedure elettorali, il richiamo ai propri supporter a non accettare pacificamente il risultato.

Obama aveva accettato che la crisi europea dei rifugiati fosse una priorità anche per gli Usa, ha sostenuto la missione Nato contro i trafficanti nel Mediterraneo orientale pur lasciandone la guida agli europei. Infine ha annunciato di voler moltiplicare la presenza di truppe nell’Est Europa. In effetti le presidenze Obama sono trascorse ininterrottamente in stato di guerra.

Nonostante il carattere di alcuni suoi consiglieri, è improbabile che Hillary sia ancora più incline ai conflitti. Da segretario di Stato era favorevole allo sviluppo di uno “smart power”, destinato a diventare sempre più importante ora che le tecnologie informatiche stanno indebolendo – anziché rafforzare – le democrazie rispetto a Russia, Cina e altre potenze autocratiche. Ma anche nel caso di vittoria, Hillary finirà indebolita dalle conseguenze della campagna elettorale. Senza una netta vittoria alla Camera, rischia di trascorrere quattro anni tra “shutdown” del governo, minacce di impeachment, con un voto di mid-term che per ragioni tecniche sarà infernale per il suo partito, e con decine di milioni di repubblicani convinti che sia un presidente illegittimo. Il Congresso non userà il linguaggio di Trump, ma l’idea che gli europei sfruttino l’ordine globale a spese americane è diffusa e inseguirà Hillary per quattro anni. L’Europa deve preparare una risposta unita e convincente e offrire una sponda credibile o il 9 novembre per gli europei non ci sarà una notizia buona o una cattiva. Ma una cattiva o una peggiore.

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