Non c’è dubbio: le presidenziali 2016 saranno ricordate come quelle della più impetuosa rivolta elettorale della storia americana. Quello che è successo martedì è in gran parte attribuibile allo stesso problema che sta minando tutte le società occidentali: l’incertezza economica, e dunque sociale. La sua vittima più importante negli Usa è stato l’American Dream, il sogno alla base della secolare stabilità politica del Paese.
Senza quel sogno di mobilità verso l’alto le diseguaglianze create dalla globalizzazione sono diventate insopportabili per una larga fetta di elettori. Parliamo innanzitutto della cosiddetta working class bianca, che ha pagato il prezzo più alto di una delocalizzazione industriale che in 35 anni ha ridotto del 36% dei posti di lavori manifatturieri. E che dopo la crisi immobiliar-finanziaria del 2008 ha visto le élite di Washington e New York spendere miliardi pubblici per salvare i responsabili del disastro senza alcun piano d’azione che restituisse invece sicurezza a chi l’aveva persa assieme al posto in fabbrica.
Ecco perché Trump è riuscito a vincere sette voti su dieci tra i bianchi di sesso maschile la cui istruzione si è fermata alla scuola dell’obbligo o alle superiori. Questa scelta, fatta da molti elettori che un tempo erano spinti dai sindacati a votare per il partito democratico, ha consegnato al candidato repubblicano Stati “ex industriali” della zona dei laghi quali il Wisconsin e il Michigan. La centralità della demarcazione di classe è stata confermata dal fatto che nella fascia elettorale di ceto e istruzione medio-bassi Trump ha vinto anche il voto delle donne, ottenendo 6 voti su 10, mentre complessivamente le donne hanno favorito Hillary Clinton 54 a 42 per cento.
Al successo di Trump hanno indirettamente contribuito due fenomeni di natura razziale. Il primo è un calo di cinque punti di percentuale nella partecipazione al voto degli afro-americani rispetto alle elezioni scorse, quando in ballo c’era la conferma del primo presidente di colore. Il secondo è dato dalle rivolte degli ultimi mesi. Prima delle elezioni, dopo anni di silenzio, gli afro-americani erano infatti tornati in piazza per protestare contro gli eccessi delle forze di polizia. Le loro manifestazioni hanno alimentato le ansie razziali di quei bianchi che erano stati feriti psicologicamente dalla presenza di un afro-americano alla Casa Bianca. Quelle ansie, abilmente fomentate e sfruttate da Trump, hanno contribuito a fargli vincere il 58% del voto bianco.
Molto meno inatteso è stato invece il forte supporto che Trump ha avuto da un’altra categoria economicamente svantaggiata, quella degli elettori delle zone rurali, da sempre schierati con i candidati della destra in quanto socialmente conservatori. A salvare la candidatura di Hillary non è stato neppure l’elettorato latino-americano, che l’ha sì sostenuta ma non in proporzioni che ci si aspettava per via delle ripetute dichiarazioni xenofobe del candidato repubblicano. Alla fine il 29% del voto “hispanic” è infatti andato a Trump, la stessa percentuale di voto degli elettori di origine asiatica. A schierarsi con il magnate dai capelli d’oro è stata poi anche la maggioranza dei cittadini dai 65 anni in su, altra fascia elettorale che, in un Paese privo di un sistema pensionistico che si rispetti, ha visto negli ultimi anni un forte incremento della propria precarietà. Se non altro psicologica. A giustificarla basti un dato: tra gli uomini nati nel 1920, chi apparteneva ai ceti sociali superiori aveva un’aspettativa di vita maggiore di cinque anni di chi era invece parte dei ceti bassi. Tra gli uomini nati venti anni dopo, il gap di aspettativa è arrivato a 12 anni.
Paura e rabbia hanno proiettato Trump nell’Ufficio Ovale. Ma è adesso che per lui il gioco si farà difficile. Perché dalle dichiarazioni di guerra, o d’intenti, i suoi concittadini gli chiederanno di passare alla soluzione di problemi che nessuno ha saputo affrontare, né tantomeno risolvere.
Come il suo predecessore di Arcore, altro magnate che ha sorprendentemente vinto le elezioni erigendosi a cavaliere del popolo, anche Trump è probabilmente destinato a scoprire che è facile gestire aziende con il supporto della politica, È molto più difficile gestire una politica che supporti le aziende.
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