Il rischio era la lacrima, lei lo sapeva ma anche stavolta ha tenuto. Ci sono molti modi per perdere ma stasera bisognava soprattutto evitare di mostrare la classica debolezza femminile. Bisognava rassicurare tutte che qualcun’altra romperà il soffitto che ora sembra di cemento e non di cristallo. Hillary Rodham Clinton, 69 anni di cui quasi 50 passati a far politica anche per interposto marito, ha gestito l’emozione e fatto quello che doveva, un buon discorso: la prima donna candidata alla presidenza degli Stati Uniti ha molti torti ma non quello di aver rinnegato durante una estenuante campagna elettorale la passione di una vita, la politica come metodo in vista di obiettivi, in un momento storico in cui vincono la frase ad effetto, l’improvvisazione, la spontaneità confusa per innocenza.
È subito arrivata al punto, «nel sogno americano c’è posto per tutti», a voler rassicurare coloro che dalla vittoria di Trump si sentono minacciati e irrisi, alcune donne, gli afroamericani, molti ispanici, comunità omosessuali e transgender. Ha confortato il suo elettorato come poteva fare una donna di partito del secolo scorso, è riuscita a trasmettere empatia quando ha lodato la sua campagna «Siete la parte migliore dell’America». Ha ringraziato senza infingimenti gli Obama che l’hanno aiutata forse più di quanto lei stessa si sarebbe aspettata o avrebbe fatto - e la sala è scattata in piedi e ha applaudito. Ha offerto aiuto e collaborazione «al nostro presidente Trump» ma ha sottolineato «che il Paese è diviso» .
Clinton non ha ricordato le donne che l’hanno ispirata - sua madre o l’attivista afroamericana Marian Wright Edelman - ma ha parlato alle «giovani, le ragazze e le bambine, che devono avere la chance di realizzare i propri sogni». Come l’ha avuta lei a venti anni, occhialoni da tenace secchiona, e forse questa è stata la concessione umana di un’anziana professionista. È probabile che le verrà negato il titolo di madre della patria, di pioniera in una società di maschi anche perché molte donne non l’hanno mai amata né votata, ma è come se Clinton l’avesse già messo in conto. Prima di andar via abbraccia suo marito Bill, sua figlia Chelsea e il genero, come a dire noi siamo così, siamo stati più forti di qualunque cosa e siamo arrivati sin qui. C’eravamo quasi.
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