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Dossier Trump, in Medio Oriente una politica senza vie di mezzo

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Dossier | N. (none) articoliSpeciale America al voto

Trump, in Medio Oriente una politica senza vie di mezzo

Se Vladimir Putin occupasse di nuovo le repubbliche baltiche, cosa farebbero gli Stati Uniti? Dipende se hanno pagato la loro quota di partecipazione alla Nato, cioè il 2% del loro Pil in spese militari, era stata la risposta del 45° presidente eletto, Donald John Trump. Se non lo hanno fatto, peggio per loro: la Russia può fare ciò che vuole. L'unico modo per supporre quale sarà la politica estera del nuovo Comandante in capo sono le sue dichiarazioni nella lunga, mediocre e molto spesso orribile campagna elettorale. Trump non ha mai espresso una sua dottrina internazionale, nemmeno a grandi linee. L'unico punto di partenza è il suo slogan elettorale: per un'America più forte. Se nelle sue intenzioni lo deve essere imponendo di nuovo l'incontrastata potenza militare ovunque nel mondo o tornando all'isolazionismo precedente a Pearl Harbour, 1941, non è chiaro.

Quello che Donald Trump sembra non sapere, né di avere colto da quando si è dato alla politica, è la necessità per gli alleati e il vantaggio per l'America di essere da 70 anni una potenza globale. Secondo il dipartimento di Stato, gli Stati Uniti hanno stretto alleanze collettive e individuali, di difesa e di stretta collaborazione economica, con una settantina di paesi. Per questo l'America è una superpotenza e la Russia no, a dispetto dell'abile attivismo di Putin.

Le dichiarazioni elencabili nella categoria “politica estera” durante la campagna sono state centinaia e offrono un futuro semplicemente spaventoso per ogni angolo del mondo. Per gli elogi a Vladimir Putin, il totale disinteresse - quasi l'ostilità - verso l'Europa, e per l'intenzione di non investire nei rapporti transatlantici, nessuno oggi vorrebbe essere nei panni di polacchi, baltici e ucraini. In Medio Oriente l'America di Trump dovrebbe bombardare tutti o abbandonare la regione al suo destino: nessuna via di mezzo. Uno dei suoi primi atti potrebbe essere il trasloco dell'ambasciata americana in Israele, da Tel Aviv a Gerusalemme: riporterebbe il conflitto arabo-israeliano, ora declassato da altre emergenze, al vertice dell'instabilità regionale.

Arsenale nucleare: l'America lo userà quando crede: se le abbiamo costruite, perché non usarle? Gli alleati saranno esortati a farsi il loro arsenale e a non contare più su quello americano: il Giappone, la Corea del Sud, l'Arabia Saudita, decretando la morte definitiva della lotta alla proliferazione nucleare.

È noto che quanto si dice in campagna elettorale non è necessariamente un programma di governo. Mai, tuttavia, un candidato era stato così non convenzionale, esplicito e brutale. Governando, il presidente degli Stati Uniti non può ignorare il “sistema” che lo circonda: il dipartimento di Stato, quello alla Difesa, il tesoro, i militari e l'apparato militare-industriale, le lobbies. Ma è anche vero che il potere esecutivo della carica fa del presidente degli Stati Uniti un dittatore democratico. Qualche giorno fa Chemi Shalev, editorialista dell'israeliano Ha'aretz, offriva una sintesi della rapida scalata al potere di Donald Trump: «Grazie a lui possiamo capire meglio come Hitler fu possibile».

Un altro commentatore, Shadi Hamid, americano di origini egiziane, paragonava su The Atlantic, la “democrazia illiberale” di Trump al governo dei Fratelli musulmani in Turchia e a quello di al-Sisi in Egitto. Negli anni cupi della caccia alle streghe del maccartismo, Edward Murrow concludeva la sua trasmissione radiofonica sulla CBS augurando agli americani “buona notte e buona fortuna”. Un auspicio del quale abbiamo bisogno anche tutti noi, alleati degli Stati Uniti.

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