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Dossier Perché Hillary Clinton ha fallito

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Dossier | N. (none) articoliSpeciale America al voto

Perché Hillary Clinton ha fallito

Nel 1972 il Partito Repubblicano di Nixon manipolò le primarie Democratiche con lo spionaggio al Watergate per far vincere Mc Govern, un candidato che non aveva chance di battere Nixon nel testa a testa. Dicky Tricky vinse con un plebiscito.

Quest'anno a truccare le primarie Democratiche ci ha pensato lo stesso Partito Democratico. Come hanno evidenziato le email rivelate da Wikileaks, Debbie Wasserman Schultz – la presidente del partito Democratico – invece di essere un arbitro imparziale delle primarie, si era trasformata in uno dei principali sostenitori della Clinton. Come se non bastasse, sempre da Wikileaks è emerso che una giornalista amica ha passato alla Clinton le domande prima di un dibattito con Bernie Sanders. Tutto l'establishment Democratico ha fatto squadra contro un candidato che avrebbe avuto maggiori chance di vincere contro Trump.

Perché lo ha fatto? Perché era sentimento comune che la presidenza fosse dovuta a Hillary Clinton, come se gli Stati Uniti fossero una monarchia. Le era dovuta per aver resistito a fianco del marito Bill, nonostante i continui tradimenti. Le era dovuta da Obama, che dopo averla battuta sul filo di lana nel 2008, aveva abbracciato il clan Clinton, al punto da scoraggiare il suo vicepresidente Biden, un candidato con migliori chance di vincere, dal partecipare alle primarie. Le era dovuta perché era giusto che una donna diventasse presidente, nonostante Hillary Clinton fosse arrivata alla fama principalmente come “moglie di”. Margaret Thatcher e Angela Merkel sono diventate primo ministro per meriti personali, non perché mogli di primi ministri. Perché gli Stati Uniti dovrebbero meritarsi di meno? O le quote di genere (su cui – in alcuni casi – sono d'accordo) si devono applicare anche alla posizione di presidente degli Stati Uniti?

Non era considerata la candidata più preparata? Sulla carta aveva indubbiamente molta più esperienza, ma aveva sbagliato le più importanti decisioni che aveva preso, dal voto a favore dell'invasione dell'Iraq alla decisione di invadere la Libia, fino a quella di lasciare senza soccorso l'ambasciatore americano a Bengasi, il cui cadavere finì trascinato per le strade della città libica.

Come è possibile che il Partito Democratico abbia commesso un errore così madornale? Perché ha pensato che le elezioni si vincessero con i soldi e non con i voti. Hillary Clinton ha raccolto $687 milioni contro i $307 milioni di Trump. Con il sostegno degli amministratori delegati delle grandi imprese (tutti a suo favore) e non quello dei colletti blu. Con il consenso dei principali media, non capendo che la fiducia degli americani nei mezzi di comunicazione è così bassa che ogni attacco a Trump era pubblicità gratuita a suo favore. Più che vinta da Trump, questa elezione è stata persa da Hillary Clinton e dall'establishment democratico che l'ha sostenuta.

Il Partito Democratico ha sbagliato anche perché ha scelto un candidato sordo alla sofferenza dell'americano medio, un candidato che non “sentiva la bruciatura” (“feel the Bern”), come recitava lo slogan inventato con un gioco di parole da Sanders (Bern è il suo diminutivo e “burn” è il termine inglese per bruciatura). Dall'alto dei $139 milioni guadagnati negli ultimi 7 anni, dall'alto del favoloso banchetto di nozze della figlia, pagato – sempre secondo Wikileaks – dalla Fondazione Clinton, dall'alto dei meeting con i sovrani più repressivi del mondo, che riversavano soldi nella Fondazione Clinton nella speranza di avere dei favori, Hillary Clinton non poteva identificarsi con la pena di quei colletti blu, che lei stessa aveva definito “deplorevoli”. E loro non potevano identificarsi con lei. Hillary Clinton era il peggior candidato che il Partito Democratico potesse scegliere in un anno come questo. E questo era chiaro a chiunque non vivesse solo tra i salotti di New York e i golf di Palm Beach, leggendo il New York Times e ascoltando CNN, ribattezzata il Clinton News Network. Il partito Democratico è rimasto vittima della bolla mediatica che ha creato e in cui vive. Così facendo non solo si è autocandidato alla sconfitta, ma ha condannato il mondo intero ad almeno quattro anni di Presidenza Trump.

Il Partito Democratico americano deve fare una seria autocritica. Ma l'autocritica dobbiamo farla anche noi. Non possiamo ridurre tutto questo a populismo. Si chiama democrazia. Se in una democrazia la maggioranza dei cittadini non vede migliorare le proprie condizioni di vita per molti anni di seguito, finisce per votare contro chi governa, contro l'establishment, anche a costo di prendersi dei rischi. È il coraggio della disperazione. Non dimentichiamocelo.

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