Va da sé che le leggi elettorali, essendo leggi ordinarie, sono indipendenti dalla Costituzione. Tanto è vero che l’attuale bicameralismo paritario, pensato all’origine in combinato disposto con il sistema proporzionale, ha convissuto negli ultimi 22 anni con sistemi elettorali maggioritari o ipermaggioritari come sono stati prima il Mattarellum (basato per il 75% su collegi uninominali all’inglese) e poi il Porcellum (che attribuiva il premio di maggioranza fisso al 54% senza fissare una soglia minima di voti per ottenerlo, motivo per cui è stato bocciato dalla Consulta due anni fa).
È pur vero, tuttavia, che la riforma che abolisce il Senato elettivo è stata pensata in combinato disposto con l’Italicum per dare una spinta verso un moderno modello di democrazia decidente: ossia un vincitore certo - in questo caso dato dal meccanismo del ballottaggio nazionale - che governa cinque anni cercando di approvare il suo programma per poi sottoporsi nuovamente al giudizio dell’elettorato. Al di là del fatto che lo stesso Matteo Renzi ha già annunciato modifiche all’Italicum sia che vinca il Sì sia che vinca il No il 4 dicembre prossimo - pressato in questo senso dalla minoranza interna del suo partito oltre che da autorevoli personalità come il presidente emerito Giorgio Napolitano - il risultato delle urne referendarie non sarà certo neutro per quanto riguarda le modifiche alla legge elettorale. E in campo ci sono almeno sei proposte per il dopo referendum, che possiamo tentare di raggruppare in due caselle: le proposte probabili se vince il Sì e le proposte probabili se vince il No. Disegnando in questo modo due modelli di democrazia, una più “decidente” e una più “rappresentativa”.
In caso di vittoria del Sì, oltre alla possibilità che resti l’Italicum di fronte a un mancato accordo tra partiti su eventuali modifiche, Renzi sarebbe più restio ad abbandonare il ballottaggio dal momento che in una situazione di tripolarismo di fatto come quella attuale - Pd, M5S e centrodestra se avrà il tempo di rilanciarsi - è l’unico sistema che garantisce un vincitore certo la sera stessa del voto. Anche se quel vincitore (da qui l’opposizione di Napolitano) potrebbe essere il partito “populista” di Grillo. Nello scenario post referendum favorevole a Renzi potrebbe dunque tornare utile la proposta del democratico Dario Parrini, una sorta di Provincellum: in sostanza collegi con ripartizione proporzionale, come quelli usati per l’elezione dei vecchi Consigli provinciali, accompagnati dal ballottaggio nazionale tra le prime due liste se nessuna raggiunge il 50%, magari con la possibilità di apparentamento tra liste tra il primo e il secondo turno. In senso maggioritario va anche la proposta avanzata dalla minoranza del Pd, il cosiddetto Mattarellum 2.0: un sistema di collegi uninominali con l’aggiunta di un premio di 90 seggi (circa il 14%) alla lista o alla coalizione che arriva prima a livello nazionale. In questo caso un vincitore certo non ci sarebbe, a meno di non sfiorare il 40%, ma si tratta comunque del modello più maggioritario possibile senza ballottaggio.
All’estremo opposto le proposte in campo nell’ipotesi che vinca il No. Una è il proporzionale semplice con lo sbarramento al 5% così come rilanciato ancora ieri da Silvio Berlusconi, che non a caso ha precisato che con un modello del genere ogni partito correrebbe da solo (e quindi lui non sarebbe costretto ad allearsi con il lepenista Salvini) e la sua Forza Italia sarebbe disponibile per un governo di Grosse Coalition alla tedesca con il Pd. Modello rappresentativo-comnsociativo puro, insomma. C’è poi la proposta del M5S, il Toninellum, che guarda alla Spagna: proporzionale sulla base di collegi elettorali provinciali in modo da ottenere un effetto-soglia implicito e preferenze al posto delle liste bloccate. Anche in questo caso la conseguenza probabile sarebbe un governo di larga coalizione. Esattamente in mezzo si pone infine la proposta avanzata dal presidente del Pd, il “giovane turco” Matteo Orfini: proporzionale con un premio alla lista del 15% come in Grecia (da qui il nome Italikos), che nella variante caldeggiata dai centristi di Alfano diventa premio alla coalizione. Un modello sul quale potrebbe ripiegare tutto il Pd in caso di sconfitta alla urne per salvare quel tanto di maggioritario possibile.