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Trump: stop all’accordo se Cuba non lo cambia

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dopo la morte di castro

Trump: stop all’accordo se Cuba non lo cambia

Afp
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NEW YORK – Cuba, la Cuba rivoluzionaria, malandrina, nella lista dei potenziali terroristi archiviata con lo storico viaggio di Barack Obama della scorsa primavera all'Avana, torna a dominare il panorama mediatico americano. E ieri la coincidenza quasi simultanea di tre eventi altamente simbolici ha generato una sorta di “perfect storm” dalla quale non è chiaro come si uscirà: mentre i cubani cominciavano a rendere omaggio alle ceneri di Fidel Castro, esposte in piazza della Rivoluzione, atterrava il primo volo commerciale di linea dell'American Airlines all'Avana, il primo di ben 100 voli giornalieri quando nel giro di un paio di mesi e dunque prima dell'insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca si sarà a pieno regime.

A fronte di questa coincidenza che sembrava offrire la via d'uscita naturale per voltare del tutto pagina nella storia fra i due paesi, il Presidente eletto Donald Trump ha rispolverato il volto aggressivo della campagna elettorale e ha detto che se il governo di Raul Castro non introdurrà libertà religiose e politiche straccerà l'accordo siglato da Obama.
Avendo visto in azione la grinta di Raul Castro durante la visita di Obama, Donald Trump non sa che nel Castro sopravvissuto trova pane per i suoi denti. Gli artigli del vecchio rivoluzionario sono taglienti e non c'è dubbio che se Trump parte con il linguaggio duro rovina in partenza qualunque possibilità di fare i necessari progressi importanti sul fronte delle libertà civili, ma anche su quello delle libertà economiche a Cuba.

L'atmosfera malinconica di questi giorni, la chiusura simbolica di un'epoca con il primo viaggio nel giorno in cui i cubani piangono Fidel in piazza poteva essere il canale su cui costruire i prossimi passi diplomatici. Basterebbe aspettare. La coreografia di questi nove giorni di lutto nazionale, senza baseball, alcool o birra prevede che domani le ceneri di Castro partiranno per la provincia orientale di Santiago, da dove partì la marcia rivoluzionaria, un “processione” al “contrario” rispetto all'avanzata che porto alla conquista dell'Avana e alla fuga del dittatore Fulgencio Batista nel 1959. E proprio lì a Santiago, il 4 dicembre ci sarà la sepoltura delle ceneri nel cimitero di “Santa Ifigenia”, di fianco al monumento dedicato all'altro grande eroe cubano Jose Martì.

Dopo la sepoltura, la vera nuova pagina cubana è pronta per essere riaperta. Sappiamo che Raul è un pragmatico riformista, che avrebbe fatto anche di più se non ci fosse stata la resistenza ideologica del fratello ancora molto influente nel controllo del governo attraverso suoi emissari. Ma ora Fidel è morto, Raul ha annunciato che lascerà nel febbraio del 2018 e il successore è già pronto, Miguel Diaz-Canel, considerato sì un fedele marxista leninista, ma pur sempre un “giovane” di 56 anni ben conscio della necessità di guardare al futuro. E il problema a Cuba non è solo per le libertà religiose o politiche ma è anche per le libertà economiche, si deve mettere fine una volta per tutte alla doppia economia, ai doppi salari, quelli in valuta locale che pagano si e non 100 dollari al mese quando gli alberghi stranieri versano al governo stipendi per quasi 2.000 dollari al mese che vengono redistribuiti.

Castro in un conflitto retorico con Trump non si farà intimidire, ci metterà un attimo a chiudere di nuovo le frontiere e i danni sarebbero prima di tutto per la popolazione cubana che comincia a simpatizzare con l'America per il nuovo benessere, e per le aziende americane, a partire dalle linee aeree, o per le compagnie di comunicazione e di costruzione che hanno già investito somme ingenti nel nuovo futuro cubano. “Non ci sembra possibile fare marcia indietro sugli accordi economici siglati – ha detto ieri John Earnest il portavoce della casa Bianca – il 90% della popolazione cubana è oggi favorevole all'America, abbiamo creato una piattaforma importante su cui agire per il futuro. Per non parlare del danno per i lavoratori e per le imprese americane che hanno già investito per il futuro cubano”.

Una “rottura” insomma sarebbe un brutto passo indietro assolutamente non necessario. Forse Trump, che dice di voler rinegoziare i termini dell'accordo per ottenere maggiori concessioni da Cuba, si è fatto influenzare dalle dimostrazioni di vecchi esuli cubani che hanno celebrato per strada a Little Habana a Miami la morte di Castro al canto di “Cuba Libre”. Ma forse Trump non sa che anche loro, vecchi esuli nostalgico e controrivoluzionari contano poco: i due milioni di cubano-americani oggi sono soprattutto giovani, non ci pensano neppure di tornare indietro, sono integrati in America e considerano la controrivoluzione una battaglia per i loro nonni. Uno di loro, il senatore Marco Rubio è stato chiarissimo: “Benché si vogliano normalizzare le relazioni con Cuba, questo non significa dimostrare apertura anche verso l'eredità di Fidel Castro: una dittatura fatta di omicidi, arresti e esili forzati. Spero che l'amministrazione Obama decida di non mandare nessuno ai funerali di Castro”, ha detto ieri. Come dire, salviamo le apparenze ma andiamo avanti.

L'amministrazione Obama ha già risposto. Ieri un annuncio lo abbiamo avuto: né Barack Obama né Joe Biden andranno ai funerali. Non sappiamo se ci andrà John Kerry. E forse sarebbe meglio che anche Kerry restasse a casa. Del resto Barack Obama non vide Fidel quando visitò Cuba proprio per sottolineare la differenza fra un personaggio già archiviato nei libri di storia e il dialogo con l'attuale vertice di potere. Per omaggiare un simbolo di un passato discusso per rappresentare l'America può bastare l'Ambasciatore, magari con Obama al telefono con Trump per chiedergli, nel suo interesse, di fare anche lui un passo indietro.

Durante la campagna elettorale Trump non aveva nascosto l'intenzione di interrompere l'apertura delle relazioni diplomatiche con l'isola inaugurata dall'amministrazione Obama. Nei giorni scorsi Trump aveva definito un «brutale dittatore» Fidel Castro, il cui annuncio della scomparsa è stato dato il 26 novembre corso.

Già ieri era stato Reince Preibus, futuro capo di gabinetto del presidente eletto, a spiegare che se da Cuba non arriveranno concessioni sul tema dei diritti umani, Trump metterà fine alla politica di apertura di Obama ed alla ripresa dei rapporti diplomatici. «Senza cambiamenti da parte del loro governo su repressione, aperture del mercato, libertà di religione, prigionieri politici, non avremo un accordo unilaterale di Cuba con gli Stati Uniti - ha avvertito Priebus in un'intervista a Fox News - Bisogna cambiare queste cose per avere relazioni aperte e libere. E questo è quello che il presidente eletto Trump crede ed è la direzione verso cui dobbiamo andare».

«Ci deve essere qualcosa e questo qualcosa deve essere determinato - ha concluso il consigliere di Trump - Ma posso assicurarvi che chiederà qualche movimento in modo che ci sia una sorta di agenda nelle relazioni con Cuba».

Obama e Raul Castro avevano annunciato l'inizio di un processo di normalizzazione della relazioni tra Usa e Cuba il 17 dicembre 2014. Un disgelo arrivato dopo lunghi negoziati segreti con l'aiuto del Vaticano e concretizzatosi poi in un ordine esecutivo con cui il presidente Usa ha revocato tutta una serie di restrizioni in campo finanziario, commerciale e turistico, compreso il ripristino dei voli di linea diretti. Riaperta anche l'ambasciata americana all'Avana. Nel marzo scorso Obama ha visitato Cuba: è stato il primo presidente a sbarcare sull’isola dal 1928.

Oggi intanto il portavoce della Casa Bianca ha annunciato che né Obama né il vicepresidente Biden saranno presenti a Cuba domenica prossima per i funerali di Fidel Castro.

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