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Putin conferma: cessate il fuoco in Siria, negoziati ad Astana

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la crisi siriana

Putin conferma: cessate il fuoco in Siria, negoziati ad Astana

Confermando le attese della vigilia, Vladimir Putin ha annunciato giovedì mattina che il governo siriano di Bashar Assad e rappresentanti dell’opposizione hanno firmato un accordo per un cessate il fuoco esteso a tutto il Paese - con l’esclusione delle zone in mano a terroristi dell’Isis, di Jabhat Fateh al-Sham (ex al-Nusra) e i loro alleati - a partire dalla mezzanotte del 30 dicembre. Dell’intesa saranno garanti Mosca, Ankara e Teheran. Un secondo documento attesta la disponibilità delle parti a iniziare negoziati di pace - in Kazakhstan, presumibilmente a un mese dall’entrata in vigore della tregua, se rispettata.

La terza firma riguarda la definizione delle misure con cui verrà monitorata la tregua, che consentirà alla Russia, ha detto Putin, di avviare il ritiro di una parte delle proprie forze dalla Siria. L’esercito siriano e la Coalizione nazionale siriana, che raccoglie parte dell’opposizione, hanno confermato l’intesa. «Dopo le vittorie e le avanzate delle forze armate siriane - cita l’agenzia ufficiale siriana Sana - il Comando generale dichiara il cessate il fuoco totale in tutti i territori della Repubblica araba siriana», con l’obiettivo di «creare le condizioni adeguate a sostenere il processo politico per la soluzione della crisi».

“Gli accordi raggiunti sono molto fragili. Hanno bisogno di attenzione, pazienza e contatto costante tra i partner”

Vladimir Putin 

«Tutti gli accordi raggiunti - ha detto Putin durante un vertice con il ministro della Difesa Serghej Shoigu e il ministro degli Esteri Serghej Lavrov - sono molto fragili e richiedono grande attenzione e pazienza, un approccio professionale su questi temi, e un contatto costante con i nostri partner». Per due volte il capo del Cremlino ha pronunciato la parola “fragile”. Poi Putin si è detto d’accordo «con la proposta formulata dal ministero della Difesa a proposito di una riduzione della nostra presenza militare in territorio siriano». Anche se Mosca - ha chiarito il presidente - continuerà «la lotta contro il terrorismo internazionale».

La svolta conferma gli impegni presi il 20 dicembre scorso a Mosca dalla “trojka” - Iran, Russia e Turchia - per trovare una soluzione alla crisi siriana. Con Putin determinato ad assumere il ruolo-guida dell’operazione e a garantire il rispetto degli accordi per conto di Assad, mentre il presidente turco Recep Tayyep Erdogan dovrebbe fare lo stesso con i gruppi ribelli dell’opposizione sunnita, probabilmente resi più malleabili dalla perdita di Aleppo. Ma così come è avvenuto in passato, in tutti i tentativi di negoziare la fine della guerra, la composizione del fronte dei ribelli che siederanno di fronte ai rappresentanti di Damasco è destinata a essere controversa. Il ministro russo Shoigu ha nominato sette gruppi, chiarendo che «chi non deporrà le armi verrà considerato un gruppo terroristico» ed escludendo da tregua e negoziati Isis, gli ex qaedisti di al-Nusra e «i loro alleati». Chi stabilirà l’elenco di questi alleati che rientrerebbero nella categoria “terroristi”? L’alleanza dell’Esercito siriano libero - il nucleo principale dell’opposizione - chiede che nessun gruppo ribelle, compreso al-Nusra, venga escluso dal negoziato: «Non possiamo separarli - spiega all’agenzia Reuters Zakaria Malahifji, capo dell’ufficio politico di Fastaqim, una delle sigle dell’opposizione - perché sul territorio si sovrappongono». Dal cessate il fuoco restano escluse anche le milizie curde dell’Ypg, in guerra contro l’Isis nella Siria settentrionale.

Risulterà controversa anche l’affermazione del ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, secondo cui tutti i foreign fighters presenti devono lasciare la Siria, comprese le milizie sciite libanesi di Hezbollah, impegnate contro i ribelli dell’opposizione. Questo è un punto che difficilmente Teheran accetterà, ma che serve a Erdogan per far accettare le intese raggiunte ai gruppi dell’opposizione sunnita e garantirne il rispetto.

Un altro probabile punto di inciampo nasce dal ruolo di Assad, di cui la Turchia ha sempre chiesto l’uscita di scena. La Dichiarazione di Mosca sembra immaginare per il presidente siriano una graduale transizione, un futuro cambio della guardia a Damasco con un esponente del clan alawita di Assad meno controverso dell’attuale presidente. Un compromesso tra i tanti che saranno necessari e che richiede, in questo caso da parte della Turchia, una flessibilità tutta da dimostrare.

In teoria la svolta potrebbe rilanciare la possibilità a cui Lavrov, il ministro russo degli Esteri, aveva lavorato con il segretario di Stato americano John Kerry: Russia e Stati Uniti insieme contro lo Stato Islamico. Un piano che l’autunno scorso era naufragato rapidamente. Ora Lavrov guarda oltre il 20 gennaio, il giorno in cui entrerà alla Casa Bianca Donald Trump. «Spero che (la nuova amministrazione) possa unirsi a questi sforzi», ha detto ieri. Se per ora gli Stati Uniti si limitano a definire «molto positivo» un accordo da cui sono stati esclusi, l’inviato delle Nazioni Unite per la Siria, Staffan de Mistura, ha accolto favorevolmente la svolta augurandosi che possa risparmiare vite umane , migliorare la distribuzione degli aiuti e «aprire davvero la strada a colloqui di pace produttivi».

Nella guerra siriana, iniziata nel 2011, sono morte più di 250mila persone.

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