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il nuovo capo della diplomazia

Tillerson si smarca da Trump: la Russia è un pericolo per gli Stati Uniti

Rex Tillerson alla Commissione Affari Esteri del Senato
Rex Tillerson alla Commissione Affari Esteri del Senato

Rex Tillerson, segretario di Stato scelto da Donald Trump, sapeva di dover superare oggi un’importante prova, l’audizione al Senato che deve ratificare la sua nomina. La affronta nelle stesse ore in cui viene pubblicato il dossier «non verificato» e pare non direttamente riconducibile ad una intelligence governativa secondo cui spie russe avrebbero documentato fra le altre cose una notte di sesso di Trump a Mosca nella stessa stanza dell’hotel in cui avevano dormito gli Obama. Forse non troppo a sorpresa Tillerson, chief executive di Exxon Mobil per venti anni, si sgancia da Trump che compulsivamente twitta e nega quasiasi coinvolgimento russo e soprattutto la notizia che qualcuno a Mosca potrebbe ricattarlo (qui sotto uno dei tweet delle ultime ore).

Nell’audizione di conferma al Senato, il petroliere che sta per diventare capo della diplomazia americana definisce la Russia «un pericolo» per gli Stati Uniti e dice che dovrà rispondere delle sue azioni. È un discorso scritto che lo staff di Tillerson ha fornito prima dell’audizione almeno ventiquattro ore fa ma non è cambiato in queste ore in cui sui siti di Cnn e Buzzfeed salta fuori il dossier russo su Trump.

«I nostri alleati della Nato hanno ragione ad essere allarmati dal ritorno della Russia» dirà dunque oggi alla Commissione Affari esteri del Senato il 64enne Tillerson. Che ammette anche una perdita di leadership americana proprio per l’aggressività russa. Per uno che è stato scelto anche perché «amico di Vladimir Putin» è un preciso segnale: Tillerson pare avere chiaro l’interesse americano e sa che i senatori vogliono sentirglielo dire.

Passaggio che non sfugge al Cremlino che in una dichiarazione rinnova la stima per il nuovo segretario di Stato, le sue «qualità professionali, la sua durezza costruttiva nel sostenere i propri interessi e la sua coerenza», ma non indosserà «occhiali rosa». A Mosca insomma, dichiara il portavoce di Putin, Dmitri Peskov, si rendono conto che Tillerson «continuerà ad essere abbastanza duro nel promuovere la sua linea». Ed è sempre quello che il Senato americano vuole sentirsi dire.

Articolati e istruttivi i passaggi su Vladimir Putin. Tillerson dice ai senatori che non gli sembra appropriato definire il leader russo «un criminale di guerra», «non userebbe questo termine». Sulla possibilità che vi sia Putin dietro gli omicidi di oppositori politici (il più clamoroso in questi anni quello di Boris Nemtsov) risponde: «nei regimi i difensori dei diritti civili sono spesso minacciati o uccisi ma nel caso specifico non ho tutte le informazioni». Sulla possibilità che vi sia Putin dietro le intromissioni informatiche nelle elezioni americane, domanda del senatore M5rco Rubio, risponde invece: «è una giusta supposizione», le conclusioni dell'intelligence americana sui cyberattacchi russi «sono preoccupanti», aggiunge.

Nell’illustrare il suo programma, Tillerson ricorda anche la minaccia dell’«Islam radicale» (espressione che difficilmente un diplomatico soprattutto democratico userebbe) e indica le priorità: lotta allo Stato Islamico e Medio Oriente, le isole contese nel Mar cinese meridinionale, i rapporti fra il governo di Pechino e la Corea del Nord e ovviamente le minacce nucleari di Corea del Nord e Iran.

Proprio sull’Iran emerge una differenza non secondaria, Tillerson si staccherebbe anche da un altro punto della narrativa di Trump, del suo Consigliere per la sicurezza nazionale Michael Flynn e del nuovo capo della Cia Mike Pompeo: il capo della diplomazia americana non sembra voler smantellare l’accordo sul nucleare iraniano firmato dai presidenti Obama e Rouani, vuole invece rafforzarlo e casomai essere più duro in caso di violazioni. È invece in linea col Trump pensiero riguardo alle aperture di Obama a Cuba: il processo di avvicinamento si è sviluppato, dice, senza che il governo dell’Avana sia stato costretto a fare significative concessioni sui diritti umani.

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