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Dossier Florian Philippot, l’enarca che ha sdoganato il Front National

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    Dossier | N. 5 articoliLe anime nere della destra populista

    Florian Philippot, l’enarca che ha sdoganato il Front National

    Marine Le Pen con Florian Philippot (Afp)
    Marine Le Pen con Florian Philippot (Afp)

    Quando, nel maggio del 2009, un amico le suggerisce di incontrare – a colazione, in un caffè alla Porte de Saint-Cloud – «un giovane brillante e promettente», Marine Le Pen commenta: «Oh no, non un enarca, sarà noiosissimo». E invece tra la futura presidente del Front National e il ventottenne Florian Philippot è il colpo di fulmine, umano e soprattutto politico. «Dopo appena pochi minuti – racconterà in seguito la Le Pen – mi sono accorta che io finivo le sue frasi e lui le mie».

    È l’inizio di una storia che ha portato Philippot a diventare il numero due del partito, l’eminenza grigia di Marine, il suo consigliere più fidato e ascoltato. L’uomo che ha avuto il colpo di genio di inventare lo slogan della campagna presidenziale in corso: “Marine2017”. Personalizzandola al massimo e cancellando ogni riferimento al partito e soprattutto a un cognome vulnerabile agli attacchi di chi parla di clan familiare, di dinastia quasi monarchica.

    Nato in una cittadina del Nord-Pas-de-Calais – terra mineraria disastrata, di disoccupazione, di proletariato, non a caso scelta dalla Le Pen per farne il collegio elettorale della svolta sociale, il laboratorio della conquista territoriale – figlio di una maestra e un direttore di scuola elementare, Philippot è un tipico esempio, quasi uno spot pubblicitario, delle opportunità offerte dal sistema francese di selezione pubblico anche a chi proviene dalla piccola borghesia di provincia, purché abbia la volontà, l’ambizione, l’intelligenza: liceo giusto a Parigi (il mitico Louis-le-Grand), la “grande école” Hec, l’Ena, la scuola di amministrazione dalla quale escono (quasi) tutti i potenti del Paese.

    Forse anche per questa ragione, Philippot ha fin da giovanissimo il culto dello Stato, della sovranità nazionale. Gollista (referenza che rivendica fieramente, andando ogni anno in pellegrinaggio sulla tomba del generale e riempiendo di memorie golliste il suo ufficio al quartier generale del partito), si avvicina alla politica militando non a caso per Jean-Pierre Chevènement. Ma si rende conto ben presto che è un cavallo perdente e rivolge la propria attenzione altrove.

    Capisce che il Front National è a un bivio e ha delle eccezionali potenzialità. Bisogna però eliminare il vecchio Jean-Marie (cosa che riuscirà a fare pochi anni più tardi) e sostenere Marine nel progetto che lei ha peraltro già ben chiaro in testa, aiutandola a svilupparlo, riempirlo di contenuti e “venderlo”: basta con l’ossessione della sicurezza e dell’immigrazione, più spazio ai temi sociali; via la cultura dell’opposizione anti-sistema dura e pura per costruire invece l’immagine di un partito di Governo; allontanare i nostalgici dell’Algeria francese e i fascisti per far posto a giovani quadri preparati e moderni. Rendere insomma il Front National credibile, affidabile. In qualche modo “istituzionalizzarlo”.

    Nel partito, e tra i militanti, Philippot ha molti nemici. Perché è, appunto un enarca, un esponente in qualche modo dell’élite del Paese. E questo certo a molti non piace, viene guardato con diffidenza, con sospetto. E perché è omosessuale. Nel partito più “macho” che ci sia.

    Florian Philippot (Afp)

    Ma la strategia di Philippot - tutta incentrata sul recupero di sovranità contro Bruxelles, l’Europa e l’euro, sul protezionismo, sul “patriottismo economico”, contro il libero scambio, in difesa dei diritti sociali acquisiti – funziona. I consensi per il Front aumentano, si allargano a nuove fasce di popolazione: gli emarginati delle periferie, gli agricoltori che faticano ad arrivare alla fine del mese, gli artigiani, i piccolissimi imprenditori, persino i dipendenti pubblici. Le categorie insomma che più sono state colpite dalla crisi, che più si sono impoverite e che hanno più paura.

    “Nel partito Philippot ha molti nemici, ma la sua strategia, incentrata su euroscetticismo e protezionismo, funziona”

     

    Arrivano anche i risultati elettorali. Dalle presidenziali del 2012 in poi è una lunga sequenza di successi. Anche se il partito, penalizzato dalla decisione dei socialisti di appoggiare al secondo turno i candidati della destra nei ballottaggi a rischio, non riesce a conquistare alcuna presidenza di regione. Ma la trasformazione si è tradotta in un rafforzamento e un consolidamento territoriale che consente oggi alla Le Pen di essere largamente in testa nei sondaggi sul primo turno delle presidenziali.

    Grazie anche al fatto che Philippot l’eurofobo, Philippot il colbertista, ha saputo diventare uno degli ospiti preferiti di radio e televisioni: 65 comparsate nel 2015, più di cinque al mese! D’altronde parla bene, è pacato, intelligente, conosce bene i dossier, maneggia le cifre, ha il senso della battuta. Il meglio che il partito ha da offrire in tema di immagine.
    Dopo Marine, certo. E dopo Marion. La giovane, biondissima nipote deputata. Il vero ostacolo sul percorso trionfale di Florian. Per farla breve, diciamo che se lui è il teorico un po’ cinico della conquista del potere con qualsiasi mezzo purché crei consenso, lei è la guardiana dell’ortodossia, della memoria e del posizionamento all’estrema destra, del partito. Almeno sui temi sociali, da cattolica integralista qual è. Mentre su quelli economici, altro punto di contrasto, è più liberista.

    Per il momento Marine, pur molto attenta a preservare la compattezza del partito ed evitare la nascita di correnti (almeno ufficiali), ha confermato la relazione privilegiata con il suo numero due. Ma il futuro di Florian – che alcuni nel partito chiamano Philippot I° - è legato ai risultati delle prossime scadenze elettorali. A partire, ovviamente, dalle presidenziali.

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