TOKYO – Esattamente sei anni fa dovette porsi un problema tremendo: se ordinare o meno l'evacuazione di tutta l'area metropolitana di Tokyo, ossia emettere un decreto di espulsione di 50 milioni di persone dalle loro case. Sei anni dopo, e' lui che che arringa conro il nucleare una piccola folla davanti al Parlamento nell'anniversario del terremoto e dello tsunami che provocarono il peggior disastro atomico dai tempi di Chernobyl.
Naoto Kan e' stato il “premier di Fukushima”, ossia il capo del governo giapponese ai tempi della catastrofe: il secondo premier del Partito Democratico (centro-sinistra), che due anni prima era riuscito a interrompere mezzo secolo di quasi ininterrotto dominio dei liberaldemocratici. Anche per via dell'aggressivita' della stampa di stampa di orientamento conservatore, Kan perdette rapidamente popolarita' e fu indotto a dare le dimissioni alcuni mesi dopo il tragico 11 marzo 2011. Ma se ne ando' solo dopo aver assicurato l'approvazione di una nuova legislazione di forti incentivi allo sviluppo di energie alternative, in particolare di quella fotovoltaica.
Giorni terribili. Prima del comizio antinucleare con altri leader dello schieramento di centro-sinistra e sinistra, nel suo ufficio - in un palazzo a fianco della Dieta che ospita le strutture a disposizione dei parlamentari - Kan rievoca i giorni terribili di sei anni fa. “il Giappone ha rischiato una catastrofe da cui non si sarebbe piu' ripreso – dice – Per fortuna non dovetti ordinare l'evacuazione di 50 milioni di persone, ma il pericolo fu concreto”. L'esplosione all'idrogeno avvenuta il 14.. marzo 2011 all'interno dell'edificio del reattore numero 3 della centrale di Fukushima Daiichi fece temere davvero il peggio. La crisi - tre reattori con il nocciolo fuso - comporto' l'evacuzione degli abitanti in un raggio di 30 km (e oltre in alcune aree): ancora oggi decine di migliaia non hanno potuto tornare alle loro case. Il conto stimato per il decommissionamento della centrale e i risarcimenti e' gia' raddoppiato rispetto alle stime iniziali, raggiungendo i 21.500 miliardi di yen, una cifra non distante dai 200 miliardi di dollari. I tempi per il decommissionamento si calcolano in alcuni decenni.
Alternative energetiche. I poster che decorano le pareti del suo ufficio ritraggono Kan anche molto giovane: da sempre e' un “attivista” di battaglie civili e, se prima di diventare premier era sostanzialmente favorevole all'energia nucleare, ora ha decisamente cambiato idea: “Sono convinto che certamente in Giappone, ma anche nel resto del mondo l'energia nucleare dovrebbe essere bandita”. Kan cita l'accordo di Parigi sui cambiamenti climatici, che fa intravedere un futuro in cui il mondo potra' rinunciare alle energie fossili per il suo fabbisogno energetico, e anche al nucleare. Vede inoltre questo tipo di energia non solo pericolosa, ma ormai come antieconomica. “Dopo tre gravissimi incidenti in pochi decenni – Three Miles Island, Chernobyl e Fukushima Daiichi – e' ora di dire basta. Lo sviluppo di energie alternative e' decollato e non resta che assecondarlo ancora di piu, rinunciando al piu' presto al nucleare'”, insiste Kan, secondo cui l'esperienza del Giappone negli ultimi sei anni ha dimostrato che il Paese ha potuto sostanzialmente fare a meno dell'energia atomica, che prima copriva quasi il 30% dei consumi. Anche un ex premier dello schieramento conservatore, Junichiro Koizumi, e' passato a opporsi al nucleare, contro gli orientamenti del suo partito.
Il governo Bbe insiste sul nucleare. Dopo Fukushima tutti gli impianti furono chiusi. Oggi funzionano (parzialmente) solo due centrali in aree periferiche del paese (Sendai, vicino a Kagoshima nel Kyushu, e Ikata, nella provincia di Ehime dell'isola di Shikoku). : il governo del premier Shinzo Abe non intende rinunciare all'atomo nel mix energetico del Paese e le autorita' di regolamentazione hanno dato un parere tecnico favorevole alla riattivazione di una ventina di reattori. In concreto, pero', ostacoli giuridici e la necessaria approvazione delle autorita' locali rendono difficoltosa la concreta rimessa in funzione di vari impianti. Abe ha inteso fare dell'export di tecnologie per il nucleare uno dei pilastri della sua Abenomics, ma con scarsi risultati. Anzi, l'industria nucleare giapponese sta perdendo pezzi.
Toshiba in crisi con l'atomo. Toshiba ha ammesso proprio oggi che cerchera' di disfarsi della controllata americana nel nucleare Westinghouse, che le ha provocato ingenti perdite in relazione ai ritardi e alle difficolta' nella costruzione di centrali atomiche negli Usa (pare che alcuni manager dell'affiliata abbiano anche rubato): l'intero gruppo giapponese e' finito sull'orlo del crack per perdite alla Westinghouse che potrebbero salire fino a oltre mille miliardi di yen (9 miliardi di dollari). Per salvarsi, Toshiba sara' costretta a vendere il suo gioiello della corona: la divisione chip. E sicuramente si ritirera' dalla costruzione di centrali all'estero, tentando di mollare al suo destino la Westinghouse, per la quale non esclude anche di attivare le procedure fallimentari (Chapter 11). Anche Mitsubishi Heavy, che si recente ha investito in Areva, incontra problemi nel settore. Le e' stato ordinato oggi dalla International Chamber of Commerce di pagare 125 milioni di dollari alla Southern California Edison, ma le' e' andata bene: l'utility californiana le aveva chiesto danni per 6,7 miliardi di dollari, allegando di aver ricevuto generatori difettosi per la centrale nucelare di San Onofre. Nel post-Fukushima, insomma, il business del nucleare e' diventato molto piu' rischioso sul piano economico.
Memoria corta? Alla manifestazione di Tokyo davanti alla Dieta, comunque, non c'erano piu' di 2-3mila persone. E pochi giovani. Non proprio una mobiitazione di massa. L'opposizione al governo Abe e' ancora molte debole e divisa, anche se si sta un po' ringalluzzendo per via di uno scandalo che sfiora il premier e riguarda una scuola privata che promuove una educazione nazionalista in stile anni '30 (e avrebbe ottenuto indebiti favori pubblici). Difficile che il Giappone faccia una scelta non-nucleare: occorrerebbe un radicale cambiamento di politic ache non si vede all'orizzonte. In piu', le irresponsabili dichiarazioni di Donald Trump in campagna elettorale – secondo cui Tokyo potrebbe farsi da se' la bomba atomica e difendersi da solo, se non intendesse pagare di piu' per la protezione militare americana – hanno rafforzato nelle sfere governative la convinzione che il Giappone abbia bisogno di un'industria nucleare civile per conservare tecnologie e stock utilizzabili in futuro, se si profilasse una emergenza, per dotarsi della bomba.
A parte chi non puo' tornare ancora a casa sua nella provincial di Fukushima, e' facile dimenticare. Come i turisti stranieri: nel 2011 non arrivava nessuno perche' temevano fin troppo il pericolo invisibile proveniente dalla centrale danneggiata. Ora arrivano in numeri record.
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