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analisi del voto

Vince Rutte e populisti fermati, ma il vero antidoto è il pragmatismo olandese

Il primo ministro olandese  Mark Rutte (ANSA/STEPHANIE LECOCQ)
Il primo ministro olandese Mark Rutte (ANSA/STEPHANIE LECOCQ)

AMSTERDAM - L'Olanda ha risposto con una forte mobilitazione, nell'affluenza e nelle scelte di voto, al rischio di una deriva populista. Wilders non ha sfondato: ha guadagnato voti, ma rimane secondo e lontano dal governo, ipotesi che peraltro era stata esclusa anche alla vigilia per la particolarità del sistema elettorale olandese, proporzionale puro.

È comprensibile dunque il sospiro di sollievo che si avverte come un'onda crescente da Bruxelles e da molte cancellerie d'Europa, a cominciare da Parigi e Berlino, a breve impegnate nei prossimi test sull'avanzata delle destre e sulla tenuta dell'architettura comunitaria.

Nella valutazione del voto di mercoledì non bisogna però dimenticare la specificità del Paese, incline al pragmatismo quando si tratta di scegliere chi deve guidarlo. Già alla vigilia delle elezioni l'editorialista di Bloomberg Leonid Bershidsky, di fronte a sondaggi che iniziavano a segnalare una flessione del Partito per la libertà, faceva notare che non sarebbe stato così scontato se Wilders, anche questa volta, avesse ottenuto meno seggi di quanti i sondaggi dei mesi precedenti avevano lasciato immaginare.

Il perché è presto detto: gli olandesi hanno le idee chiare su chi dovrà essere il loro primo ministro e lo vogliono affidabile, con un programma realizzabile, in grado di garantire la governabilità del Paese e non metterne a rischio vantaggi o conquiste consolidate.

Wilders nel suo manifesto elettorale proponeva l'uscita dall'euro e dall'Europa, lo stop totale all'immigrazione dai Paesi islamici, il bando al Corano e alle moschee. E anche sul piano economico alcune proposte dell'agenda interna, a cominciare dallo stop all'innalzamento dell'età pensionabile, lasciavano non pochi dubbi.

Inoltre, l'unica esperienza di vera responsabilità del leader del Pvv – il sostegno esterno al governo di minoranza guidato sempre da Mark Rutte nel 2010 – si era risolta con lo scioglimento dell'esecutivo ed elezioni anticipate, nel 2012.

Prima del referendum britannico su Brexit e delle elezioni presidenziali americane che hanno incoronato Donald Trump probabilmente molti elettori non avevano dichiarato il proprio vero orientamento, fornendo tramite i sondaggi un quadro falsato della realtà.

Gli olandesi potrebbero aver fatto esattamente il contrario: nei sondaggi, per molti mesi, hanno detto di voler scegliere Wilders, ma nel segreto dell'urna hanno fatto un'altra scelta, magari per non rischiare di sprecare il voto. Tanto più che l'agenda di Wilders su temi sensibili come immigrazione, integrazione, difesa delle prerogative interne da “troppa Europa”, è stata nella sostanza, se non nei toni, largamente adottata anche da molti altri partiti, a cominciare dai liberali del premier Rutte.

Onore dunque all'Aja, argine contro il populismo. Ma forse il vero antidoto è stato il pragmatismo olandese.

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