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Dossier Brexit, tutti i rischi per i cittadini europei

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Dossier | N. (none) articoliBrexit al via: il lungo addio di Londra all'Ue

Brexit, tutti i rischi per i cittadini europei

Il conto alla rovescia verso Brexit scatta quindi il 29 marzo, e per i 3 milioni di cittadini europei che vivono in Gran Bretagna quel ticchettìo ha un suono decisamente infausto. Il timore, quando Brexit diventerà realtà, è trovarsi all’improvviso stranieri indesiderati.

Per due anni non cambia nulla
Durante i due anni previsti di negoziati tra Londra e Bruxelles nulla potrà cambiare. Il diritto a risiedere, studiare o lavorare nel Regno Unito continuerà a essere garantito per tutti i cittadini Ue almeno fino al marzo 2019. Il grande punto interrogativo è cosa succederà dopo questo periodo di limbo. Il Governo di Londra ha messo in chiaro la sua volontà di «riprendere il controllo delle frontiere» e limitare l’immigrazione. «Metteremo fine alla libera circolazione delle persone come funziona attualmente», ha dichiarato il ministro dell’Interno Amber Rudd, che segue il copione tracciato dalla premier Theresa May, che l’aveva preceduta nell’incarico.

May chiede reciprocità
Nonostante le pressioni la May si è rifiutata di garantire il diritto degli europei già residenti in Gran Bretagna a restare anche dopo Brexit senza prima ottenere in cambio una garanzia equivalente sui diritti del milione circa di cittadini britannici che vivono in Paesi Ue. Molti anche tra i Tories ritenevano che un annuncio unilaterale sarebbe stato un gesto non solo magnanimo ma anche utile, che avrebbe fatto partire i difficili negoziati con Bruxelles in modo positivo. La May è rimasta arroccata sulla sua posizione, incurante dell’accusa di trattare i cittadini Ue come merce di scambio.

EUROPEI NEL REGNO UNITO
Le prime 10 nazionalità. Dati in migliaia, 2015 (Fonte: Ons, Office for National statistics)

La Camera dei Lord aveva approvato l’emendamento alla legge su Brexit che avrebbe tutelato i diritti dei cittadini Ue, ma la posizione di principio dei Pari del Regno non ha avuto seguito perché il Parlamento ha poi respinto l’emendamento e approvato la legge senza modifiche, consentendo alla premier di invocare l’articolo 50 nei tempi da lei stabiliti.

BRITANNICI RESIDENTI NELLA UE
I primi 10 paesi. Dari in migliaia, 2015. (Fonte: Ons, Office for National statistics)

Mini-esodo
Continua quindi a regnare l’incertezza sul fato degli europei, e aumenta il senso di disagio per il clima più ostile e la retorica anti-stranieri della stampa popolare, ferocemente pro-Brexit. Questi fattori stanno già causando un mini-esodo. Alcuni giornali inglesi l’hanno battezzata la grande fuga, mentre università e banche, ospedali e imprese hanno lanciato l’allarme sul numero di cittadini Ue che stanno scegliendo di andarsene volontariamente prima di sentirselo imporre dalle autorità britanniche.

Nuove regole su residenza permanente
L’atteggiamento più duro delle autorità britanniche è dimostrato dal cambiamento delle regole sulla residenza permanente. Fino a fine 2015, ogni cittadino Ue che viveva e lavorava in modo continuativo in Gran Bretagna per 5 anni acquisiva automaticamente lo status di residente permanente. Ora invece chi vuole ottenere la “carta di residenza” deve fare domanda e la procedura è talmente complessa che sembra studiata per scoraggiare gli aspiranti residenti. Bisogna riempire un modulo di 85 pagine e presentare un numero infinito di documenti a sostegno della domanda: il peso medio della documentazione è oltre un chilo.

In media oltre un terzo delle domande vengono respinte, e la lettera del ministero dell’Interno invita a «prepararsi a lasciare il Paese». Nonostante questo, il numero di domande è aumentato in modo esponenziale dopo il referendum perché gli europei vogliono tutelarsi. Inoltre senza carta di residenza permanente non è possibile fare domanda di cittadinanza britannica.

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Il giro di vite non riguarda solo i cittadini europei che da anni lavorano in Gran Bretagna, ma anche gli studenti. Le università britanniche hanno chiesto invano alla May di considerare gli studenti immigrati temporanei, come fanno Stati Uniti o Canada, con regole facilitate che riconoscono il contributo che danno all’economia del Paese. La May sostiene invece che gli studenti stranieri rientrano a tutti gli effetti nella definizione di immigrati – ad esempio utilizzano i servizi pubblici e gravano sul sistema sanitario - e quindi vanno trattati come tali. Questo vuol dire che rientrano nelle quote migratorie da abbattere, con visti di ingresso in numero limitato e con un rigido limite temporaneo, per evitare che l’iscrizione all’università sia considerato un canale per stabilirsi in Gran Bretagna in via permanente.

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