PARIGI - Dieci milioni di spettatori, con punte oltre gli undici milioni e uno share medio del 48 per cento. Un francese su due è insomma rimasto incollato allo schermo per seguire, ieri sera, il pur lunghissimo (tre ore e mezza) primo dibattito televisivo tra i cinque principali candidati alle presidenziali francesi. A dimostrazione di quanto la politica – e in particolare la “madre di tutte le elezioni” – continui a interessare un’opinione pubblica che secondo i sondaggi è ancora largamente indecisa sul nome da indicare nella scheda del 23 aprile, giorno del primo turno.
I riflettori erano ovviamente puntati sui tre candidati più forti: Marine Le Pen, François Fillon e soprattutto il giovane outsider Emmanuel Macron, che non aveva mai partecipato a un confronto di questo genere. Le prime impressioni, e i primi sondaggi, dicono che i telespettatori hanno apprezzato in particolare le prestazioni degli ultimi due.
Il candidato della destra è riuscito a evitare che il dibattito si focalizzasse sui suoi problemi giudiziari (con l’inchiesta sul presunto lavoro fittizio da assistenti parlamentari della moglie e dei figli), giocando d’anticipo con l’ammissione dei propri errori e l’annuncio della costituzione, in caso di vittoria, di una commissione composta di alti magistrati per elaborare misure di moralizzazione della vita pubblica.
Ha quindi potuto parlare del proprio programma. Pacato, tranquillo, ha trasmesso l’immagine di un politico serio, competente, affidabile, credibile. E ha astutamente calato la carta delle elezioni politiche che seguiranno le presidenziali, sostenendo di essere l’unico in grado di poter ottenere una maggioranza parlamentare che garantisca di concretizzare i progetti del presidente. Anche se a volte è sembrato persino troppo distaccato, troppo lontano.
Macron – l’uomo da colpire, essendo diventato il favorito nella corsa all’Eliseo – è riuscito a rintuzzare brillantemente tutti gli attacchi. Quelli da sinistra (il socialista Benoit Hamon) sul supposto finanziamento della sua campagna elettorale da parte delle lobbies industriali. Quelli da destra (Fillon) sul suo posizionamento politico ambiguo. Quelli dall'estrema destra (la Le Pen) sull'incerto confine tra politica e affari, tra pubblico e privato (Macron è stato banchiere d’affari presso Rotschild e ministro dell’Economia).
Non ha lasciato correre nulla, è stato ben presente su ogni tema (sia pure a volte con una certa vaghezza). E la sua collocazione, inedita, al centro di uno scenario politico storicamente caratterizzato dal bipolarismo destra-sinistra, è sembrata convincente. Forse persino rassicurante.
Più deludente è stata la prova fornita dalla Le Pen. A suo agio quando è in assenza di contraddittorio, ha dato la sensazione di avere qualche difficoltà a difendere le proprie posizioni davanti ad avversari preparati e pronti a criticarla aspramente. Basti dire che la questione, cruciale, dell'uscita dall'euro è stata solo sfiorata. E tanto è bastato perché Fillon buttasse lì una delle frasi chiave del dibattito: “Il serial killer del potere d'acquisto dei francesi è l'abbandono della moneta unica”.
Il duello della sinistra, infine, è stato sicuramente vinto dal radicale Jean-Luc Mélenchon, grazie alle sue doti di tribuno.
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