Donald Trump sfodera due decreti per suonare la carica della sua crociata di politica commerciale sotto le bandiere di America First. E per punire i partner “colpevoli” di abusi nei rapporti di interscambio. «Il mio messaggio è chiaro: da
oggi in poi chi viola le regole deve sapere che subirà le conseguenze», ha minacciato il presidente degli Stati Uniti.
I due ordini esecutivi sono mirati a combattere quella che il suo Segretario al Commercio Wilbur Ross, uno degli esponenti pragmatici dell'amministrazione, ha definito apertamente una «guerra che da decenni» vittimizza gli Usa. Adesso, ha detto Ross, «il messaggio al mondo» è differente: le «nostre truppe salgono sulle barricate», perché il deficit nell'interscambio - 500 miliardi di dollari l'anno in beni e servizi, 750 nei soli beni - non è «casuale». E se la Cina è nel mirino avendo scavato l'anno scorso un passivo di 347 miliardi negli scambi di beni, sotto esame sono anche alleati quali Italia, Francia, Germania, Irlanda, Giappone e Corea del Sud; vicini di casa nel Nafta come Canada e Messico; e poi Svizzera, India, Indonesia, Taiwan, Malesia, Tailandia e Vietnam.
Con uno dei due editti Trump ha commissionato una verifica approfondita dei deficit più imponenti, dando 90 giorni al Ministero del Commercio e all'Ufficio del Rappresentante commerciale della Casa Bianca per identificare le cause e valutare l’impatto di pratiche scorrette, comprese manipolazioni delle valute. Il rapporto servirà da base per futuri passi. Il secondo documento prescrive un'applicazione più draconiana di rimedi al dumping a difesa delle imprese manifatturiere domestiche. L'amministrazione, ha detto il “falco” del neonato National Trade Council, Peter Navarro, ha calcolato che 2,8 miliardi in dazi su aziende e Paesi colpiti non sono stati riscossi, ipotizzando una campagna retroattiva oltre a più severi requisiti d'ingresso. E ha proclamato “storico” l'intervento della Casa Bianca, che riguarda «acciaio, chimica, agricoltura, macchinari» e agirà anche da deterrente di nuove violazioni.
Le firme sono state apposte alla vigilia del primo vertice di Trump con il presidente cinese Xi Jinping a Mar-a-Lago in Florida il 6 e 7 aprile. Un summit che ora si preannuncia teso: iniziali attacchi alla Cina - truffatori delle valute, inventori dell'effetto serra, complici dei programmi nucleari della Corea del Nord - si erano stemperati in una fase di calma con Pechino, che aveva citato l'inesperienza della nuova amministrazione. Quella tregua potrebbe essere a rischio: Trump stesso ha twittato di aspettarsi un incontro «molto difficile» e che è tempo di dire basta a «colossali deficit e perdite di posti di lavoro». Ross ha incalzato che «se i deficit commerciali sono una buona cosa, perché la Cina è soddisfatta di un enorme surplus? Non fosse stata un tale esportatore netto non sarebbe cresciuta tanto». E ha ignorato il monito degli esperti che vedono invece il riequilibrio come sfida di lungo periodo legata all'apertura dell'economia cinese e la crisi manifatturiera legata a tecnologia e irreversibile globalizzazione più che a singole pratiche di interscambio.
Se dai decreti non scaturiscono automaticamente svolte concrete, l'importanza d’un riscatto sul fronte commerciale, cuore del messaggio populista venato di protezionismo di Trump, non può essere sottovalutata per una Casa Bianca a corto di successi. Finora anche sul “trade”: dal Congresso si sono levate voci irate per una proposta di ritocchi dell'accordo di libero scambio nordamericano Nafta, ritenuta debole. L'Ufficio del rappresentante commerciale, affidato a Robert Lighthizer, deve ancora decidere se e quali sanzioni applicare a 90 prodotti dell'Unione Europea nell'annosa disputa sulle carni agli ormoni. E una border tax del 20% inserita nei piani di riforma fiscale rimane controversa.
Trump non vuole deludere, anzi forse vuole corteggiare anche i populisti del partito democratico - dopo che in passato aveva evocato dazi per raddrizzare passivi bilaterali con Paesi «scorretti», nel cui novero sono entrati la Cina (minacciata di tariffe del 45%) come la Germania, sospettata di gestire l'euro ai fini del proprio export. Anche se Ross e Navarro hanno alternato toni più concilianti alle parole dure. L'amministrazione, ha detto Ross, seguirà un approccio «analitico» e non intende «sparare» senza pensare.
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