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Perché la Serbia è importante

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analisi del dopo elezioni

Perché la Serbia è importante

Una banda musicale  davanti alla gigantografia del neopresidente serbo   Aleksandar Vucic (AP Photo/Darko Vojinovic)
Una banda musicale davanti alla gigantografia del neopresidente serbo Aleksandar Vucic (AP Photo/Darko Vojinovic)

I Balcani producono più storia di quanta non ne possano consumare, disse una volta Churchill: una frase tragicamente confermata anche delle guerre balcaniche degli anni'90, quando non solo si frantumò la ex Jugoslavia ma crollò anche, insieme al Muro di Berlino nell'89, il sistema di relazioni internazionali uscito dalla guerra fredda.
Questa volta però la storia sembra andare, apparentemente, nella direzione giusta: il primo ministro Aleksandar Vucic ha vinto domenica largamente (55,13% dei voti) le elezioni presidenziali con un programma che ha al primo punto l'ingresso di Belgrado nell'Unione europea.

Un'ottima notizia per Bruxelles e i due maggiori partner della Serbia, l'Italia e la Germania della cancelliera Angela Merkel. Il leader del centro-destra serbo ha rintuzzato agevolmente le spinte più radicali e nazionaliste e sembra capace di proiettare la repubblica ereditata dai disastri di guerre civili ed etniche verso un futuro più stabile.

È tutto vero, ma fino a un certo punto. La Serbia aspira a entrare nell'Unione per ridiventare il centro dei Balcani meridionali, sia sotto il profilo politico che economico - dai Paesi dell'Unione viene gran parte degli investimenti diretti - ma allo stesso tempo si rifiuta fermamente di aderire alla Nato che nel '99 rovesciò sulla Serbia di Slobodan Milosevic 22 milioni di tonnellate di bombe durante la guerra del Kosovo.

Non è facile sopire risentimenti così recenti in una popolazione che aspira all'integrazione europea ma allo stesso tempo conserva forti simpatie filo-russe derivanti da un lunga storia, dalla religione ortodossa e dalla sensazione che il ruolo della Serbia sia quello di una sorta di Paese cerniera tra Est e Ovest.

La questione kosovara rimane ovviamente il nodo bruciante dei Balcani. Belgrado non vuole assolutamente riconoscere l'entità kosovara e le tensioni nell'area serba di Mitrovica sono costanti. E osserva con preoccupazione l'appoggio americano per creare le nuove forze armate kosovare.

In questa partita dai difficili equilibri Belgrado continua a mantenere stretti legami con Mosca: l'incontro tra Vucic e Putin è stato recentemente descritto con un grande successo e accompagnato da forniture militari russe alle forze armate serbe quasi senza alcuna contropartita economica.

La rotta balcanica continua a costituire per l'Europa uno snodo fondamentale geopolitico nei rapporti con Mosca e anche per la sua sicurezza interna, come ha dimostrato l'attentato sventato recentemente a Venezia. Le piste jihadiste scoperte in Kosovo e in altre aree della regione saldano i Balcani al Medio Oriente più di quanto non si possa immaginare.

Il discorso di Al Baghdadi con il quale venne proclamata a Mosul nel 2014 la nascita del Califfato venne tradotto tradotto, all'epoca, oltre che in inglese, francese, tedesco, russo e turco, anche in albanese: i Balcani e in particolare il Kosovo continuano ad essere un bacino di reclutamento per l'Isis.

Dalla lotta armata nel 1998-99 tra serbi e kosovari sono sorte le cellule jihadiste mentre un aiuto concreto alla rinascita islamica in tutta l'area balcanica è venuto dalle confraternite e dalle fondazioni, per lo più saudite e turche, che hanno elargito e finanziamenti per le attività religiose delle comunità musulmane sunnite. Tutto questo favorito dal contesto geografico dei Balcani, con un territorio difficile da controllare e frontiere da sempre permeabili.
Ecco perché i destini dei Balcani e della Serbia ci interessano direttamente.

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