ISTANBUL - A Kasimpasa anche lo stadio è intitolato a suo nome e per l’ultimo comizio elettorale i suoi sostenitori lo attendono sul Bosforo scaldando l’atmosfera come una tifoseria da curva sud, con un repertorio di inni e di cori che non finisce mai. Al suo arrivo esplodono. Le sue foto compaiono ovunque: gigantografie sui palazzi ma anche ritratti più modesti nelle botteghe del quartiere e per chi non ne avesse abbastanza al cinema proiettano “Reis”, la sua biografia, una mega produzione da otto milione di dollari dell’imprenditore Temel Kankiran, che però al botteghino non ha reso quanto ci si aspettava.
Ma il culto della personalità è salvo: solo l’immagine di Ataturk nella Turchia contemporanea può fare concorrenza a quella del presidente che con il referendum sulla riforma costituzionale vuole i pieni poteri.
L’attesa per il suo arrivo si fa sempre più fremente e l’organizzazione del partito, l’Akp, non lascia nulla al caso: distribuzione di cibo, bevande e bandiere a volontà, con una sola scritta d’obbligo “Evet”, cioè “si”. Sul megaschermo si possono seguire in diretta gli altri comizi di Erdogan a Istanbul: cinque in una giornata. Un presenzialismo che unito al predominio assoluto sui media - al fronte del No restano solo briciole di propaganda - denuncia però qualche nervosismo sul risultato, ancora in bilico negli ultimi sondaggi.
Il film Reis comincia proprio qui a Kasimpasa dove è nato 63 anni fa. L’uscita del film, con lunghi piani sequenza e musica altamente emotiva, era prevista a ottobre ma è stata anticipata a marzo, nel pieno della campagna referendaria.
Cresciuto in una famiglia tradizionale originaria di Rize sul Mar Nero, è proprio a Kasimpasa che Tayyip Erdogan nuove i primi passi da calciatore per arrivare a giocare nei semiprofessionisti. Ma le modeste condizioni della famiglia lo obbligano per mantenersi a vendere ciambelle e limonate. È qui che entra in politica nella sezione locale dell’Unione nazionale degli studenti, un gruppo di azione anti-comunista e nel 1974, tra l’altro, scrive e interpreta il ruolo di protagonista nella commedia “Maskomya”, che presenta giudaismo e comunismo come il male assoluto. Ma il vero salto avviene con l’ingresso nel movimento islamista di Necmettin Erbakan: nel 1991 viene eletto in Parlamento e tre anni più tardi sindaco di Istanbul, rivelandosi un leader pragmatico, impegnato a risolvere problemi concreti come il traffico, l’inquinamento e l’approvvigionamento di acqua.
Nel 1998 viene arrestato per aver pubblicamente declamato alcuni versi del poeta Ziya Gokalp in cui tra l’altro si legge che «le moschee sono le nostre caserme e i minareti le nostre baionette». Uscito dal carcere, Erdogan fonda l’Adalet ve Kalkinma Partisi (Akp), il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo, il partito islamico che nel 2002 vince le elezioni. Riabilitato nel 2003 assume la carica di premier e nel 2014 va alla presidenza sostituendo il compagno di strada Abdullah Gul.
Di quel gruppo dirigente che diede vita all’Akp ai vertici del partito o nel governo non c’è più nessuno: Erdogan ha fatto fuori tutti i possibili concorrenti o anche soltanto quelli che osavano criticarlo.
Qui a Kasimpasa trova però soltanto sostenitori fedeli ed entusiasti: il suo quartiere e l’intera città sono il suo grande palcoscenico. Figlio di una modesta famiglia di immigrati è diventato un capo ricco, potente e con il referendum vuole dal suo popolo l’investitura finale: potrà restare in carica fino al 2034. Per metà del Paese è il simbolo di quei cittadini della Turchia profonda che sono arrivati a farsi strada nella metropoli, per l'altra metà è soltanto un altro detestabile “Reis” mediorientale.
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