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Dossier Se essere europeista può aiutare a vincere un’elezione

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    Dossier | N. (none) articoliLa Francia sceglie il Presidente: un voto storico

    Se essere europeista può aiutare a vincere un’elezione

    Si può sperare di vincere un'elezione decisiva per l’Europa senza che l’Europa sia portata come capro espiatorio e diventi oggetto di denigrazione e disinformazione, causa di tutti i mali, ma soprattutto delle incapacità e della cattiva fede di alcuni leader politici nazionali, al governo e all’opposizione. Il successo al primo turno di Emmanuel Macron lascia un buon margine di speranza per il futuro dell’Unione. Il candidato che ha inventato dal nulla En Marche! e se stesso come soggetto politico che ambisce alla presidenza della Repubblica francese non si è mai vergognato del suo europeismo in campagna elettorale e anzi lo ha mostrato a più riprese, perfino visitando in due occasioni la Germania, cosa che nessun altro candidato francese ha fatto (come dimenticare il viaggio di Marine Le Pen a Mosca?).

    I detrattori e i più diretti avversari lo hanno accusato di genuflettersi davanti alla cancelliera Merkel, di essere già andato a prendere la comanda e di aver annotato tutto per bene in caso di vittoria.E hanno fatto notare come l’endorsement dell’arcigno ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble potesse equivalere a un “bacio della morte”, probabilmente più velenoso di quello conferitogli da Obama. Come se fosse vergognoso andare a incontrare i leader democraticamente eletti di una grande democrazia – quella tedesca - e fosse invece naturale omaggiare lo zar del Cremlino.

    Intendiamoci, la vittoria per Macron è ancora lontana e i mercati in queste due settimane che ci porteranno al secondo turno del 7 maggio saranno parecchio nervosi, con possibili tensioni su due asset class in particolare, titoli di Stato ed euro. Ma il successo dell’ex ministro dell’Economia è qualcosa in più di uno spiraglio e per sovvertire i pronostici stavolta – il rapporto con Le Pen nel ballottaggio è in media superiore al 60% e in alcuni casi si porta al 65 contro il 35% - dovrà accadere qualcosa di molto grave, in particolare clamorose interferenze esterne come gli attentati dell’Isis o rivelazioni scottanti sul passato del “ragazzo meraviglia” della politica francese.

    Tutto è possibile, in queste elezioni appassionanti e drammatiche, e quindi anche la vittoria di Emmanuel Macron, e di quello che alcuni analisti hanno ribattezzato “populismo buono” o “populismo negativo”, lo sono diventati. Il corrispondente del Sole-24 Ore da Parigi Marco Moussanet è convinto – e ieri l’ha scritto – che pur di essere eletta Marine Le Pen nei prossimi giorni di campagna elettorale si rimangerà le parole roboanti contro la moneta unica e a favore dell’uscita dall’euro. In realtà nelle ultime settimane aveva già attenuato la sua retorica rimettendosi alla volontà dei cittadini perché sa bene che la maggioranza dei francesi è a favore dell'euro. Resta tutto da vedere se questa marcia indietro sarà credibile e se sarà sufficiente per recuperare nei confronti di Macron.

    Quanto alla Francia, nel caso di vittoria del candidato di En Marche!, dovrà compiere grandi sforzi per recuperare la credibilità perduta nei confronti della Germania. Questo però è l’obiettivo dichiarato dell’ex ministro di Hollande, che promette di riportare i conti sotto controllo, rispettare le regole del deficit e rendere più fluido il mercato del lavoro. Una transizione, la sua, non una rivoluzione. Basterà a Berlino e Bruxelles? In questo caso dovranno farsele bastare perché se dovesse essere lui, la sera del 7 maggio, a conquistare l’Eliseo, avranno nei suoi confronti un debito di riconoscenza perché avrà evitato l’inizio del processo di disgregazione dell’Unione europea. Dovranno ascoltarlo, soprattutto quando delineerà il suo progetto che prevede la nascita di un budget dell'Eurozona, di un ministro delle Finanze ad hoc e di un Parlamento che dia la tanto attesa legittimità politica all’Unione monetaria: insomma, un principio di condivisione dei rischi. Un piano che implica la modifica dei Trattati, ma che in qualche modo dovrà avere un certo grado di riscontro nel partner storico e nelle istituzioni europee.

    È importante che qualcuno rompa l’isolamento della Germania; di un Paese più preoccupato che soddisfatto e compiaciuto di un'egemonia dovuta all'incapacità degli altri Paesi dell’Eurozona (soprattutto Francia e Italia) di modernizzare le rispettive economie, e non tanto a disegni e ambizioni nazionali. Alla cancelleria di Berlino non ci saranno inquilini scomodi dopo le elezioni di settembre e la battaglia, mentre si sta disintegrando il partito xenofobo Alternative für Deutschland, è tra Angela Merkel e l’uomo che ha resuscitato la socialdemocrazia tedesca, Martin Schulz. In entrambi i casi le capacità e le possibilità di dialogo saranno buone tra Parigi e Berlino, come mai lo sono state negli ultimi dieci anni. E non è detto che l’interlocutore migliore di un (possibile) presidente Macron non possa essere la cancelliera in carica, che in caso di vittoria sarebbe al suo quarto mandato e non avrebbe più paura di essere rieletta: forse una Merkel più sinceramente e liberamente europeista e meno riluttante a concedere quello che l’Europa le aveva chiesto, senza ottenerlo, in questi anni di crisi.

    Per ora, vantaggio Macron. Il 7 maggio si vedrà.

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