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Fiumicino, i ricavi derivanti dalla compagnia scesi al 30%

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LA CRISI ALITALIA

Fiumicino, i ricavi derivanti dalla compagnia scesi al 30%

L’uscita di scena di Alitalia non spaventa più lo scalo della Capitale. Per la compagnia italiana tuttora Fiumicino rappresenta l’hub di riferimento. Ma per la società di gestione, Aeroporti di Roma (gruppo Atlantia, che al contempo è azionista di Alitalia), questo status si è tradotto negli ultimi anni più in un desiderio di valorizzare un marchio tricolore che nell’effettiva capacità di sostenere la crescita dello scalo. Nel primo trimestre la capacità del vettore italiano di incidere sui ricavi di Adr si è ulteriormente assottigliata, arrivando a circa il 30% dei ricavi aeronautici (a fronte dei 650 milioni del 2016, di cui 200 milioni generati dalla compagnia) e le proiezioni per la parte successiva dell’anno sono di un’ulteriore erosione di quella soglia. Tanto per avere un elemento di paragone, negli altri hub europei i vettori di riferimento contribuiscono per una quota ampiamente superiore al 50 % dei ricavi aeronautici degli scali.

Aeroporti di Roma si era già trovata tre anni fa a dover fronteggiare il rischio di una improvvisa uscita di scena del principale vettore dello scalo. Da allora ad oggi, però, la situazione è molto cambiata. Alitalia ha proseguito il processo di declino, riducendo progressivamente il contributo ai ricavi che allora era attorno a 37-38 per cento. È vero che tuttora garantisce movimenti nello scalo per oltre 17 milioni di passeggeri all’anno, ma è anche vero che negli ultimi tre anni la domanda da parte altri vettori di trovare spazio nello scalo romano è aumentata. E così sul corto e medio raggio sono subentrati nuovi operatori, soprattutto low cost, ma con una certa solidità. Questi vettori sono in crescita, hanno ordinativi, hanno sviluppato una capacità specifica anche per la gestione di traffico in connessione. Tra questi c’è il gruppo Iag, tramite Vueling, che nello scalo è passata da 0,9 milioni di passeggeri nel 2012 a 3,4 milioni quest’anno. Vueling opera già traffico in connessione con altri player di lungo raggio. C’è poi Ryanair che era assente nel 2012 e che oggi garantisce 3,8 milioni di passeggeri e costituisce il secondo operatore dello scalo romano. E ancora: Norwegian, operatore votato al lungo raggio, si sta sviluppando su Fiumicino, dove ha aperto una base nel 2016. Infine EasyJet è ancora presente con 1,8 milioni di passeggeri.

La crescita media di questi vettori negli ultimi mesi nell’aeroporto romano è stata di circa il 4%, Alitalia ha in media perso il 2 per cento. Il declino del vettore italiano prosegue inesorabile da ormai 10 anni, spinto anche dal progressivo taglio delle rotte, prima quelle di lungo raggio, poi anche quelle di medio e corto raggio per ridurre i costi. Una strategia che alla lunga, come poi è avvenuto, non può che rivelarsi miope. Adr ha invece beneficiato dei passeggeri inbound, quelli in arrivo, soprattutto dall’Est e dalla Cina. Sono aumentati del 6 per cento.

Potenzialità si potrebbero addirittura aprire per i collegamenti diretti su rotte intercontinentali, sulle quali Adr oggi è piuttosto debole. E questo perchè Alitalia è vincolata da un accordo con AirFrance e Delta che, per le rotte sul Nord America, è obbligata a far passare i passeggeri dall’hub di Parigi (1,5 milioni l’anno). Se la compagnia non operasse più, si aprirebbe lo spazio per 3 o 4 operatori che potrebbero gestire collegamenti diretti garantendo più traffico. Vettori che hanno importanti ordinativi su aeromobili nuovi e che nell’arco di 5 anni potrebbero garantire ad Adr un’offerta di tutto rispetto verso gli Stati Uniti. Un eventuale uscita di scena di Alitalia, certo, avrebbe comunque un impatto sullo scalo nella fase di transizione. E che potrebbe tradursi in un ritardo di uno e due anni nell’attuazione del piano industriale.

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