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Tassa sulle imprese dal 35 al 15%: arriva la rivoluzione fiscale…

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OGGI L’ANNUNCIO

Tassa sulle imprese dal 35 al 15%: arriva la rivoluzione fiscale di Trump

Donald Trump presenterà oggi un piano per mantenere una delle sue promesse più ambiziose: una riforma fisclae che tagli le tasse a tutti e riduca l’aliquota sugli utili delle imprese dal 35 al 15 per cento. Anche se l’annuncio atteso in queste ore non sarà che l’inizio della crociata: sulla strada dell’obiettivo c’è un Congresso restio a sgravi che per metà potrebbero finire in tasca all’1% più ricco della popolazione - l’opposizione democratica - oppure - la fronda repubblicana - a rinunciare a principi conservatori sul contenimento di deficit e debito.

Mnuchin conferma le indiscrezioni
In attesa che la Casa Bianca presenti ufficialmente la proposta, il segretario al Tesoro Steven Mnuchin ha confermato alcune delle indiscrezioni. In particolare, parlando durante un evento a Washington, ha spiegato che il piano include appunto la riduzione dell'aliquota corporate al 15%, dall'attuale 35%. La sforbiciata è superiore a quelle proposte da precedenti amministrazioni: Barack Obama aveva ipotizzato una riduzione al 28%, mentre nel 2014 i repubblicani avevano parlato del 25%. Mnuchin, che ha anticipato che il presidente Donald Trump è «vicino a nominare» un vicepresidente della Federal Reserve con delega sulle questioni finanziarie, ha spiegato che la riforma fiscale di Trump «avrà portata più ampia rispetto alla Dodd Frank Act», la riforma della finanza voluta dal suo predecessore Barack Obama.

La partita con il Congresso
Trump, con il Congresso, ha mostrato ieri di saper usare anche un registro più pragmatico e conciliante che potrebbe aiutarlo. Per risolvere un’altra battaglia ha gettato i semi del compromesso: la posta in gioco è tenere aperto il governo oltre la mezzanotte di sabato - vigilia dei suoi primi cento giorni al governo - approvando una legge che rinnovi finanziamenti altrimenti in scadenza per il resto dell’anno fiscale in corso che terminerà a settembre. La Casa Bianca ha ritirato la richiesta che la legislazione contenga stanziamenti per un’altra delle sue priorità elettorali, il muro al confine con il Messico contro l’immigrazione clandestina. Trump ha indicato di essere disposto ad aspettare settembre per il muro, consentendo ai leader parlamentari di accelerare e probabilmente sbloccare i negoziati. Il muro, oltretutto, è ancora impopolare in Congresso: un sondaggio tra deputati e senatori di entrambi i partiti eletti negli Stati di confine non ha trovato voti a suo favore. Ancora a marzo Trump aveva invece invocato subito 1,4 miliardi per il muro, seguiti da 2,6 miliardi per l’anno prossimo.

Per ora solo linee guida
Ma il dossier tasse è ben più arduo. Trump dovrebbe delineare le linee guida, orfano tuttora di una dettagliata proposta da trasformare in legge. E la rivendicazione che la sua diventi la “madre di tutte le riforme”, eclissando Ronald Reagan, potrebbe rivelarsi prematura e discutibile. Ad apparire certi sono anzitutto alcuni cardini della strategia: accanto a una riduzione delle imposte corporate, le imprese si gioverebbero di incentivi - un prelievo una tantum del 10% - per il rimpatrio di profitti parcheggiati all’estero, ben 2.600 miliardi di dollari. Facilitazioni che scatterebbero, ammoniscono i detrattori, nonostante le tasse realmente versate dalle aziende siano spesso inferiori alle aliquote formali: tenuto conto di reti di agevolazioni la media scende al 29%, stando all’ufficio studi del Congresso. Soprattutto le multinazionali, guidate da settori di punta quali hi-tech o farmaceutico, sono soggette di fatto a una frazione di simili oneri e a volte li evitano del tutto.

L’aliquota delle società redditizie nella classifica Fortune 500 è attorno al 21% e la fetta di entrate fiscali in arrivo dalle aziende è scesa al 10% dal 32% in sessant’anni. Né Trump si ferma alle tasse corporate: semplificazioni e tagli sono in preparazione sui redditi individuali e familiari. L’aliquota massima federale, in particolare, dovrebbe scendere drasticamente al 33% dal 39,6 per cento.

Impatto pesante sulle Casse federali
Gli ostacoli davanti al progetto sono a loro volta chiari. Rivedere davvero intere normative fiscali è impresa titanica. Soltanto la riduzione al 15% delle aliquote aziendali, secondo la Commissione fiscale congiunta del Parlamento, cancellerebbe duemila miliardi di entrate in dieci anni per le casse pubbliche statunitensi. L’eliminazione, in cambio, delle scappatoie per imprese e settori non basterebbe a compensare un simile impatto. Né basterebbero previsioni di crescita economica che Trump ha ventilato fino al 6% ma dentro la stessa amministrazione non superano un già generoso, se raffrontato ai calcoli della Federal Reserve, 3 per cento. Per questo in Congresso anche tra i repubblicani è circolata l’ipotesi di tagli più modesti dell’aliquota corporate al 20 per cento. Accompagnati per coprirli da una controversa border tax, un’imposta sulle importazioni che rastrelli 1.200 miliardi in dieci anni e attaccata come protezionista da numerosi alleati. I deficit provocati dalle nuove proposte - il Tax Policy Center ha finora stimato nuovi “buchi” decennali da 7.200 miliardi - potrebbero automaticamente ridimensionare le ambizioni dell’amministrazione. Per approvare una riforma fiscale a maggioranza semplice, senza bisogno dell’opposizione democratica, i repubblicani devono ricorrere alla procedura della “reconciliation” possibile unicamente per legislazioni con effetto neutro sull’erario nell’arco di dieci anni. Sgravi fautori di nuovo disavanzo possono cioè essere solo temporanei e devono svanire al termine del decennio.

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