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Gli Usa armano i curdi per strappare Raqqa all’Isis

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Ignorate le proteste della Turchia

Gli Usa armano i curdi per strappare Raqqa all’Isis

(Ansa/Ap)
(Ansa/Ap)

New York - L'amministrazione Trump ha preso una nuova significativa decisione di politica estera. Ha deciso di armare direttamente i curdi siriani nella guerra contro Isis ignorando le dure obiezioni della Turchia, alleato nella Nato che li considera invece alla stregua di un'organizzazione terrorista e di una minaccia ai suoi confini e al suo controllo territoriale. La strategia del Pentagono sottoscritta oggi da Trump prevede che le milizie curde dello YPG vengano mobilitate per lanciare un'offensiva cruciale verso la città di Raqqa, la capitale di fatto dei terroristi islamici.

La decisione non è stata facile. Il dibattito interno all'amministrazione americana, che risale anche al precedente governo di Barack Obama, si è trascinato per mesi. Le milizie curde in Siria sono però ritenute dallo stato maggiore dell'esercito americano di gran lunga il miglior alleato militare degli Stati Uniti nel Paese. E il Pentagono da tempo preme per armarle. Le forze dello YPG, guidando una coalizione di organizzazioni arabe, grazie agli arsenali messi ora a sua disposizione dovrebbero essere in grado, secondo i piani della Casa Bianca, di attaccare con successo la roccaforte di Isis. “Equipaggeremo la forze curde nelle Syrian Democratic Forces (la coalizione, ndr.) per assicurare una chiara vittoria su Isis a Raqqa”, ha fatto sapere il Pentagono.

Alti emissari di Ankara si sono precipitati a Washington lunedì per incontri a porte chiuse con l'amministrazione sulla nuova decisione e strategia varata da Trump. L'atmosfera dei colloqui è stata descritta dalla stampa americana come “tesa”, con i funzionari turchi che denunciano lo YPG come strettamente legato al Kurdistan Workers Party definito terrorista sia da Ankara che dalla stessa Washington. Il Presidente turco Recep Tayyip Erdogan è a sua volta atteso alla Casa Bianca a metà mese per continuare la difficile discussione.

Il Pentagono e Trump hanno tuttavia rotto gli indugi, scavalcando le proteste pur riconoscendole e cercando di tranquillizzare Ankara. “Siamo pienamente coscienti delle preoccupazioni di sicurezza del nostro partner nella coalizione, la Turchia”, ha detto il portavoce del Dipartimento della Difesa Dana White. “Vogliamo rassicurare la popolazione e il governo della Turchia che gli Stati Uniti sono impegnati a prevenire ogni ulteriore rischio per la sicurezza e a proteggere il nostro alleato nella Nato”. I vertici militari americani hanno indicato, in particolare, che controlleranno le forniture di armi e proiettili per evitare violazioni e abusi.

La Siria è diventata una delle crisi internazionali in cima all'agenda della Casa Bianca. Dopo aver promesso durante la campagna elettorale di tirarsi indietro da conflitti all'estero, Trump ha cambiato rotta su Damasco anche al di là della campagna contro Isis. Il Paese è stato terreno di scontro con le forze ufficiali del regime di Bashar al-Assad, quando missili americani hanno bombardato una base aerea da cui erano partiti attacchi chimici sulla popolazione civile di aree ribelli. E sono espose polemiche con la Russia, principale alleato di Assad. Nelle prossime ore è atteso a Washington il Ministro degli Esteri di Mosca Sergey Lavrov per provare a riprendere le fila di un diglogo.

Il Medio Oriente, in generale, si sta rivelando forse una tappa e un test cruciale per la definizione della politica estera della nuova amministrazione, finora uno dei grandi talloni d'Achille. Trump ha già ricevuto a Washington sia il leader israeliano che quello palestinese, offrendo il suo sostegno a Tel Aviv ma proponendosi allo stesso tempo come mediatore di pace. E durante il suo primo viaggio internazionale a fine mese in occasione del G7 di Taormina e del vertice Nato di Bruxelles farà anche sosta in Arabia Saudita e in Israele.

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