Mondo

Trump: accordo di Parigi su clima «pessimo», negoziato male…

  • Abbonati
  • Accedi
merkel-gentiloni-macron: non rinegoziabile

Trump: accordo di Parigi su clima «pessimo», negoziato male da Obama

New York - Il grande “strappo” con l'accordo di Parigi c'è stato. Ed è arrivato, paradossalmente, dal Rose Garden della Casa Bianca. Donald Trump ha scelto un giardino per ritirare l'adesione all'accordo internazionale firmato dal suo predecessore Barack Obama nel 2015 per combattere il cambiamento climatico, le tragedie e i costi che può infliggere all'ambiente e al pianeta.

«È un brutto accordo per gli americani», ha dichiarato il Presidente. E ha denunciato che avrebbe provocato danni all'economia per tremila miliardi.

“L’accordo mette sulle spalle degli americani i costi a discapito della nostra economia e della crescita del lavoro, tirando fuori al contempo impegni senza alcun senso dai principali inquinatori mondiali, come la Cina”

Dal documento inviato dalla Casa Bianca al Congresso 

Trump: oggi annuncero' mia decisione sul clima

Trump, in una concessione ai critici anche interni del suo gesto, dovrebbe però rispettare le procedure di ritiro previste dal patto, che potrebbero richiedere quattro anni. Una scelta che consentirà agli elettori americani di esprimersi ancora prima che sia finalizzato. E ha aggiungo che la sua amministrazione è anche disposta a avviare nuove trattative sul clima sulla base di termini migliori per il Paese.

Trump, affiancato dal vicepresidente Mike Pence, ha dato il via all'annuncio celebrando i successi dell'economia americana sotto la sua presidenza. Ha rivendicato gli ingenti contratti firmati durante il suo recente viaggio internazionale. Ha vantato la promozione di un commercio “giusto” con i partner del G7 e l'intensificazione della lotta al terrorismo.

Poi ha affermato che intende rispettare le sue promesse. Il clima una di queste: «Gli Stati Uniti si ritireranno dall'accordo sul clima di Parigi. Da oggi mettiamo fine agli impegni presi in quell'accordo. Ma cominceremo nuovi negoziati per rientrare o per un'altra intesa più giusta per gli americani».

In un lungo e a tratti caotico discorso, ha affermato che l'accordo di Parigi avrebbe causato perdite di posti di lavoro e minato la competitività. Obama ha risposto a distanza che Trump ha deciso di “rifiutare il futuro”.

Il conto alla rovescia verso la decisione, inframmezzato da tweet e frasi a metà, aveva tenuto per giorni tutti in sospeso, l'ultima power play di un Presidente che ama i giochi di potere.

Ma non si può dire che la conclusione fosse imprevista. È giunta dopo che Trump aveva ripetutamente promesso in campagna elettorale di cancellare la firma degli Stati Uniti in calce all'accordo e aveva definito il cambiamento climatico una “truffa” per danneggiare l'economia americana. Da presidente aveva invocato un rilancio della moribonda industria del carbone e ordinato lo smantellamento del Clean Power Plan, il programma creato da Obama per rispettare l'obiettivo di Parigi di tagliare le emissioni e contenere l'aumento della temperatura sotto i due grandi centigradi dai livelli pre-industriali. Le centrali causano il 40% delle emissioni nocive americane, che sarebbero state ridotte del 32% entro il 2030.

Ancora: dei tre miliardi di dollari promessi da Obama a paesi più disagiati e colpiti dal cambiamento climatico ne era stato stanziato solo uno all'avvento di Trump, che ha bloccato ulteriori fondi. Mentre alla guida dell'Agenzia per la Protezione Ambientale Epa ha installato Scott Pruitt, politico repubblicano scettico sull'effetto serra.

La battaglia dentro la Casa Bianca sul futuro di Parigi - un accordo oltretutto volontario - è stata assai più politica che scientifica. Da un lato si sono schierati i fautori del nazionalismo economico e gli ultra-conservatori, lo stratega dell'Alt Right Steve Bannon e Pruitt coadiuvati dalle frange repubblicane più radicali al Congresso. Dall'altro gli esponenti pragmatici, i moderati del partito e dell'amministrazione quali il Segretario di Stato Rex Tillerson, la figlia e consigliera Ivanka Trump e il Segretario all'Energia Rick Perry. Sostenuti da una parte importante delle aziende americane più d'avanguardia.

I primi vedevano il ritiro da Parigi come simbolo delle promesse da rispettare nei confronti di una base popolare necessaria a governare. Un rilancio degli slogan di America First, l'America prima di tutto: se l'elettorato è a maggioranza, il 70%, a favore degli accordi sul clima, tra i repubblicani ultrà è invece in vantaggio chi lo boccia e crede che spezzare norme ambientali generi boom economici soprattutto nell'energia.

I moderati leggevano al contrario nella conferma dell'adesione al protocollo sul clima sottoscritto da 195 paesi su 197 - le eccezioni sono Siria e Nicaragua - sia una scommessa sull'innovazione economica che la necessaria riaffermazione della leadership americana su scala internazionale.
Un ritiro americano, ammoniva quest'ala pragmatica, significava abdicare alle responsabilità politiche degli Stati Uniti e lasciare un vuoto politico pronto per essere colmato dall'aggressività di Pechino oltre i confini asiatici.

Oltre che incrinare su ogni fronte di cooperazione la credibilità di Washington, capitale del Paese storicamente re dell'inquinamento e tuttora seconda nazione per emissioni di anidride carbonica alle spalle della Cina. Proprio ieri il premier cinese Li Kequiang, in visita a Berlino, ha ribadito il suo impegno a rispettare l'intesa di Parigi.

Presagi degli strappi americani sul clima a livello internazionale erano tuttavia progressivamente emersi nel vertice del G20 di Baden-Baden e nel G7 di Taormina. Alla conclusione del primo viaggio all'estero, durante il quale ha ricevuto in dono dal Papa l'Enciclica sull'ambiente, Trump aveva imposto nel comunicato dei sette grandi un paragrafo che dissociava gli Stati Uniti da Parigi, in attesa di una sua decisione gravida di conseguenze.

© Riproduzione riservata