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La Bce apre il dibattito interno su uscita dal Qe e tassi

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La Bce apre il dibattito interno su uscita dal Qe e tassi

Il presidente della Banca centrale europea Mario Draghi
Il presidente della Banca centrale europea Mario Draghi

Le ipotesi sul tavolo sono tante. Le attese di gran lunga minori. La riunione di giugno del board della Banca centrale europea - che si terrà a Tallin in Estonia - non dovrebbe concludersi con grandi novità, per le quali bisognerà verosimilmente aspettare almeno la riunione di settembre. La discussione sui prossimi passi potrebbe però essere molto ampia.

Il quantitative easing e il tapering
La conclusione del quantitative easing (qe) si avvicina. Molti analisti si attendono indicazioni sul tapering, la riduzione progressiva degli acquisti di tit0li, ma è forse troppo presto. Alcuni investitori avevano immaginato un’anticipazione della fine del qe, dopo dati sull’inflazione più elevati del previsto. È piuttosto improbabile però. La funzione del quantitative easing è sempre stata quella di aumentare i prestiti bancari alle imprese: sono sicuramente migliorati, ma forse occorre qualche segnale in più perché si possa dire che si siano almeno stabilizzati. Ad aprile, c’è stata persino una leggerissima flessione, che potrebbe richiedere qualche attenzione in più. Insieme all’andamento dei prezzi delle case, in deciso rialzo.

Sarà più probabilmente a settembre che arriveranno le indicazioni su come procederà l’azzeramento degli acquisti. Il presidente Mario Draghi, in passato, aveva già indicato come punto di riferimento l’analogo tapering della Federal Reserve, che aveva ridotto gli ammontari destinati al quantitative easing di 10 milioni (di dollari, evidentemente) al mese. In base a queste indicazioni è ragionevole aspettarsi un azzeramento con il mese di giugno.

La forward guidance
Più delicata è la questione della forward guidance. È l’indicazione di come la Banca centrale potrà muovere i tassi, e la politica monetaria in genere, in futuro. Attualmente il comunicato ufficiale, che introduce la conferenza stampa, dice che il board continuia ad attendersi che i tassi «rimangano su livelli pari o inferiori a quelli attuali per un prolungato periodo di tempo, ben oltre l'orizzonte dei nostri acquisti netti di attività».

La parte che potrebbe cambiare è proprio quella che fa riferimenti a livelli «inferiori a quelli attuali». L’andamento dell’inflazione, secondo alcuni osservatori, già permetterebbe di abolire questo riferimento: il rischio di deflazione in Eurolandia si è molto ridotto. Va aggiunto che far scendere i tassi sui depositi verso la Bce al di sotto dell’attuale -0,40% - un livello bassissimo e negativo: le banche pagano per depositare denaro - potrebbe anche essere controproducente.

Non è questa, però, l’unica parte che potrebbe essere modificata. Marco Valli di Unicredit ricorda che il consiglio direttivo potrebbe - non necessariamente in questa occasione - dare indicazioni più precise sulla distanza temporale tra la fine del qe e il primo rialzo dei tassi, oppure cambiare la parte che apre la possibilità a acquisti più ampi in termini di ammontare e di durata. In astratto, ma non accadrà, anche la successione degli interventi potrebbe invertirsi, con un’anticipazione del rialzo dei tassi.

Le pressioni dei «falchi»
Realisticamente, quello che accadrà è l’apertura di un dibattito all’interno del board e niente di più. Parola di un “falco” - sia pure ammorbidito dalla ventilata successione a Draghi nel 2019 - come Jens Weidmann, presidente della Bundesbank. «Secondo me - ha detto una settimana fa - le attuali prospettive economiche, insieme al miglioramento dell’equilibrio tra i rischi (di frenata o di accelerazione dei prezzi, ormai quasi bilanciati, ndr) suggeriscono che il Consiglio direttivo inizierà a discutere se e quando sarà opportuno modificare la nostra forward guidance».

Le proiezioni e l’euro
Per capire il tenore del dibattito, saranno importanti le nuove proiezioni macroeconomiche. Le previsioni di marzo indicavano un’inflazione all’1,7% medio nel 2019, un livello considerato non soddisfacente dallo stesso Draghi. Difficile che le variazioni di questo mese siano tali da modificare davvero le aspettative degli investitori: le pressioni sui prezzi sono limitate, i salari - che per la Bce sono l’anello mancante - non salgono mentre le condizioni monetarie e finanziarie di Eurolandia si stanno leggermente irrigidendo: dal 10 aprile a oggi il cambio effettivo dell’euro - una media ponderata dei cambi verso le valute dei principali partner - si è apprezzato del 3,3%, portandosi ai livelli di gennaio 2015 e interrompendo una fase di grande stabilità.

La pazienza dei governatori
Attese e ipotesi più “aggressive” cadono infine di fronte alle parole degli stessi governatori. «Dovremo comunicare qualcosa al mercato - ha detto il vicepresidente Vítor Constâncio il 24 maggio - prima della fine dell’anno, vicino alla fine dell’anno». «Non ci siamo ancora - ha aggiunto lo stesso giorno Peter Praet, il capoeconomista - Dobbiamo imparare ad essere pazienti». «È ancora troppo presto per pensare che cambieremo il nostro orientamento di politica monetaria», ha idealmente concluso Mario Draghi il 31 maggio.

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