In queste ore in Gran Bretagna si può seguire il live della formazione del nuovo governo, possibile solo grazie all’alleanza fra conservatori e unionisti nordirlandesi. Con la signora Foster, leader del Dup che si fa fotografare tutta contenta davanti a Downing Street. O si può leggere la dichiarazione del ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble, che certo pesa visto il ruolo, ma sorprende fino a un certo punto.
Schäuble è pur sempre colui che nell’estate 2015 quando l’ennesimo salvataggio della Grecia monopolizzò l’attenzione europea e creò tensione con l’America di Obama, convinto di dover salvare Atene per non lasciarla in mano a Putin, offrì al ministro del Tesoro maericano Law la Grecia in cambio di Puerto Rico nell’Eurozona. Era uno scherzo, disse il ministro tedesco noto per la sua schiettezza, politico esperto e di lunghissimo corso, anche inviato di Kohl nel processo di riunificazione della Germania dopo il crollo del Muro di Berlino. Oggi invece Schäuble non scherza affatto, dice solo quello che molti già pensano a Londra, Bruxelles e Berlino. Dopo il voto dell’8 giugno, la Brexit si è allontanata, affievolita, forse è morta, sicuramente è stata superata la sua versione hard.
L’intervista con Bloomberg
Così il ministro della Merkel dice alla televisione di Bloomberg: «Se il Regno Unito decide di non lasciare più l’Unione europea, è di nuovo benvenuto nel blocco». Come a dire: facciamo che non è successo nulla, tutto è dimenticato. La lettera con cui il 29 marzo scorso il governo May notifica l’addio a Bruxelles, il cinematografico «thank you and goodbye» di Tusk, il minaccioso Great Repeal di May & Davis, il ticchettio dell’orologio di Barnier, gli ultimatum di Verhofstadt. La stessa Merkel che ieri precisava che i negoziati per l’uscita non si potevano rinviare. Tutto superato in scioltezza dal potente ministro Schäuble che poi un po’ ricorda le forme e un po’ mette il dito nella ferita perché precisa: «È il governo britannico che su Brexit deve prendere le proprie decisioni».
May a Macron: negoziati al via dalla prossima settimana
Il governo a Londra però come si sa non c’è ancora, i conservatori non hanno più la maggioranza assoluta, l’accordo con gli unionisti del Dup dovrebbe essere chiuso domani o al massimo dopodomani mentre l’incontro in serata fra la sconfitta May e il trionfante europeista Macron rimpicciolisce ancor di più la figura della premier britannica in pectore. Stretta fra gli inviti a ricominciare dell’esperto Schäuble e le già letterarie strette di mano del giovane Macron. Al nuovo presidente francese - Monsieur Europe May ha assicurato che «i tempi di Brexit non cambiano, i negoziati cominceranno la prossima settimana». Macron ha però fatto da sponda al ministro tedesco: «Fino a che il negoziato non sarà finito la porta resta sempre aperta», ha detto alla premier britannica per poi aggiungere: «la decisione è stata presa dal popolo sovrano britannico e come tutte le decisioni del popolo sovrano va rispettata».
Business come priorità
Al di là di quanto durerà la signora May e dei presunti colloqui riservati su Brexit fra Tory e Labour, si delineano alcune posizioni che peseranno su questo addio sempre più incerto all’Unione europea e sul prossimo governo. Pochi vogliono mettere in discussione l’unione doganale, tantomeno i nordirlandesi del Dup, cosa che certo indebolisce la linea May e la sua forza nel definire futuri accordi commerciali. E sembrano prendere sempre più coraggio i deputati che non vogliono rinunciare al mercato unico europeo. Due scelte senza dubbio pro business, priorità dei Tory scozzesi guidati da Ruth Davidson che ieri suggeriva una open Brexit.
Ovvio però che se il Regno Unito rimane nel mercato unico poi non può perseguire quella linea dura sull’immigrazione tanto sbandierata in campagna elettorale. May dovrà così navigare fra queste istanze di una Brexit sempre più morbida e le rigidità dei colleghi euroscettici, alla fine non è chiaro cosa rimarrà di quello che lei per prima non voleva chiamare «divorzio».
© Riproduzione riservata