Le forze armate della Federazione Russa e della Bielorussia hanno lanciato l’attacco alla Veishnoria, la Vesbaria e la Lubenia. Obiettivo, stroncare l’offensiva in corso contro la Bielorussia.
Veishnoria? La potete localizzare nelle mappe degli organizzatori di Zapad-2017, le grandi manovre militari che Mosca e Minsk condurranno insieme dal 14 al 20 settembre. I tre Paesi nemici sono stati immaginati tra Bielorussia, Polonia, Lettonia e Lituania, scatenando il senso dell’umorismo degli utenti bielorussi di Twitter che già hanno ideato stemma e bandiera del loro nuovo Stato, banconote e relativo tasso di cambio (1 VSN = 5 USD).
Nella realtà, la parte divertente finisce qui. Nell’edizione 2017 queste esercitazioni (che si svolgono ogni 4 anni in rotazione annuale tra il comando strategico russo - Zapad - e quelli orientale, centrale e del Caucaso) sono da mesi al centro dell’attenzione e delle polemiche tra Russia e Nato perché segnano forse la distanza più grande raggiunta dai due fronti, specchio della diffidenza reciproca accumulata negli ultimi 20 anni: da quando, nel 1997, nell’Atto fondatore del Consiglio Nato-Russia, l’Alleanza atlantica affidava la propria difesa collettiva all’integrazione piuttosto che a un dispiegamento permanente di nuove e consistenti forze da combattimento. Specificando però: «nello scenario attuale e prevedibile».
Quelle circostanze sono cambiate: la Nato punta il dito sull’invasione della Georgia del 2008, l’annessione della Crimea e la guerra nel Donbass ucraino, mentre Mosca considera un tradimento degli impegni presi con la fine della guerra fredda, a giustificazione delle proprie paure, l’espansione della Nato in Europa orientale, nel 1999 e 2004, nella sua zona di influenza di un tempo, fino ai suoi confini. La linea del fronte di Zapad-2017.
Qui, prima ancora di dar voce alle armi, è un fuoco di fila di accuse. La Nato, impegnata a sua volta in un fitto calendario di esercitazioni lungo tutto il proprio fianco est, è allarmata dalle dimensioni di queste manovre russe, che sospetta saranno ben più imponenti di quanto Mosca non ammetta. Secondo Ursula Von der Leyen, ministro della Difesa tedesco, coinvolgeranno oltre 100mila uomini. Dichiarazione che i russi hanno smentito seccamente, ricordando la cifra ufficiale comunicata in linea con gli accordi internazionali - 12.700 soldati, 250 carri armati, 10 navi e 70 aerei ed elicotteri che torneranno alle rispettive basi permanenti entro il 30 settembre, e insistendo sulla natura difensiva delle manovre: non minacciano nessuno e non sono una copertura di invasioni di Stati vicini, ha ribadito nei giorni scorsi il viceministro Aleksandr
Fomin a chi «arriva a dire che Zapad-2017 sarà una rampa di lancio per occupare la Lituania, la Polonia o l’Ucraina». Che la Russia sia una minaccia per qualcuno, ha detto Fomin il 29 agosto scorso agli attachés militari della Nato a Mosca, «è un mito».
Dall’altra parte del confine, soprattutto in Polonia e tra i Paesi Baltici provati dalla storia, pochi sono disposti a fidarsi. Ricordando i trucchi di contabilità militare sperimentati negli anni passati, gli analisti della Nato sospettano che le manovre verranno separate e gestite in modo da non incorrere nell’obbligo di invitare osservatori internazionali, necessari a fronte a schieramenti di più di 13mila uomini. Il segretario generale dell’Alleanza, il norvegese Jens Stoltenberg, avverte: «Seguiremo le manovre da vicino, vigili ma anche calmi perché non vediamo minacce imminenti contro nessun alleato». E tuttavia Stoltenberg invoca maggiore trasparenza. Perché in passato, con la copertura di altre manovre militari, la Russia ha mascherato due interventi ben reali: l’attacco alla Georgia nel 2008 (che in realtà rese l’armata russa consapevole dell’urgente necessità di modernizzarsi) e l’operazione Crimea/Ucraina orientale nel 2014.
“Seguiremo le manovre da vicino ma con calma, perché non vediamo minacce imminenti contro nessun alleato ”
Jens Stoltenberg, segretario generale della Nato
Quest’anno i timori potrebbero appuntarsi sulla Bielorussia, dove sono affluiti uomini e mezzi che il generale Ben Hodges, comandante delle forze armate americane in Europa, ha paragonato a un cavallo di troia. E se all’improvviso Mosca cambiasse copione, lasciando missili e blindati in casa di Aleksandr Lukashenko? Zapad-2017 metterà seriamente alla prova la posizione del presidente bielorusso, e il suo tentativo di restare vicino a Mosca senza alienarsi più di tanto l’Europa, e senza entrare direttamente nel confronto Russia-Nato.
Alla tensione in aumento l’Alleanza ha risposto rafforzando la presenza in Europa dell’Est. Da giugno sono schierati nelle tre repubbliche baltiche e in Polonia quattro battaglioni in cui ruoteranno contingenti dei vari Paesi dell’Alleanza (quello italiano è in Lettonia), a ricordare - sottolinea la Nato - che «un attacco contro un alleato sarà considerato un attacco contro tutti». Un compito di deterrenza con un occhio di riguardo su quello che la Nato considera
il proprio tallone d’Achille sul fianco orientale, il Suwalki Gap: il boscoso corridoio di confine tra Polonia e Lituania che separa l’exclave russa di Kaliningrad dalla Bielorussia. Se Suwalki Gap cadesse in mano ai russi, in caso di offensiva, lascerebbe isolate le forze Nato sul Baltico, circondate da un esercito naturalmente superiore.
Ma per il momento a sentirsi accerchiati sono i russi, proprio a causa di quei battaglioni nelle repubbliche baltiche con cui ritengono che la Nato, come spiega da Londra l’analista militare Igor Sutyagin, del Royal United Services Institute for Defence and Security Studies, «abbia passato un Rubicone: ora si è avvicinata davvero ai confini russi». E anche se il totale degli uomini coinvolti, 4.530, ha un valore simbolico rispetto ai numeri che Mosca può schierare dall’altra parte, «ora potenzialmente la regione di Kaliningrad può diventare un’isola». Con le truppe arrivano le armi pesanti: in luglio, in Lituania, gli Stati Uniti hanno mandato una batteria di missili Patriot. Nella dottrina militare russa annunciata nel 2014 l’espansione della Nato - in particolare nelle ex repubbliche sovietiche di Ucraina e Georgia - è identificata come la minaccia più seria alla sicurezza del Paese.
«Gli ufficiali russi - spiega Dmitrij Gorenburg, ricercatore presso la Divisione studi strategici del Cna ad Arlington e associato per Studi russi ed eurasiatici ad Harvard - non nascondono il fatto che le dimensioni e l’obiettivo di queste esercitazioni nascono in parte dalle preoccupazioni che il rafforzamento della presenza della Nato in Europa orientale suscita in Mosca. L’Occidente percepisce aggressività russa, ma in realtà la Russia continua a sentirsi relativamente debole a confronto degli Stati Uniti e dei loro alleati». Di conseguenza, riversa in queste prove di forza su larga scala la necessità di ribadire il proprio status di grande potenza militare, di dimostrare le proprie capacità di difesa e di intimidazione, ricordando quanto può diventare alta la posta in gioco. Messaggio affidato tra l’altro alla presenza in Zapad-2017 della Prima armata
corazzata della Guardia(vedi scheda a fianco). «Un intervento della Nato in Bielorussia - continua Gorenburg - è considerato una delle cause più probabili di un grande confronto militare tra la Russia e l’Occidente».
“La Nato e la Russia non si considerano avversari”
Atto fondatore del Consiglio Nato-Russia, Parigi 27 maggio 1997
Il paradosso è che ci si prepara a qualcosa - un attacco russo alla Nato, o il contrario - che pochi analisti militari, da una parte e dell’altra, considerano realistico, nella consapevolezza comune delle conseguenze drammatiche di una guerra in Europa. La Russia «ha attaccato la Georgia e l’Ucraina proprio perché non sono membri Nato - spiega ancora Sutyagin - e per il Cremlino quella era l’ultima possibilità di mantenerle nella propria sfera di influenza, interrompendo la deriva verso la Nato». E se militarmente sarebbe un suicidio, anche da un punto di vista politico attaccare l’Alleanza non conviene al Cremlino: «Il suo obiettivo è garantirsi un posto nel “presidium” in cui si decidono i destini del mondo - continua Sutyagin - ovvero tra le più grandi potenze mondiali. Quindi l’ultima cosa di cui hai bisogno è distruggere quello stesso tavolo a cui ti vuoi sedere. Nessuno attaccherà un Paese Nato».
Ma questo non impedisce l’escalation nell’Europa nord-orientale, nei più affollati cieli del Baltico o nei dintorni degli aspiranti candidati a entrare nell’Alleanza. Un’escalation che si nutre della lontananza e della diffidenza reciproca, e genera instabilità e paura. La paura russa di essere attaccati, la paura dell’Occidente di un attacco russo. «La Nato e la Russia - è scritto nell’Atto fondatore del 1997 - non si considerano avversari. Costruiranno insieme nell’area Euro-atlantica una pace duratura e inclusiva».
© Riproduzione riservata