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OGGI LA DECISIONE

Dai tassi al bilancio: i cinque punti chiave della riunione Fed di stasera

La riunione di settembre della Federal reserve dovrebbe dare il via alla riduzione del bilancio, già annunciata a giugno, ma saranno le previsioni sull’andamento dei tassi e le proiezioni economiche che permetteranno di capire come evolverà la politica monetaria Usa nei prossimi mesi.Ecco i cinque punti chiave della riunione.

La riduzione del bilancio
Il processo che porterà a una graduale riduzione del bilancio della Fed, oggi a 4.500 miliardi di dollari, è stato già annunciato a giugno: le modalità tecniche sono note e i mercati si aspettano per questa riunione di settembre l’indicazione dell’avvio ufficiale delle vendite di titoli. Non sarà dunque un evento dirompente. Stephen L. Jen di EurizonSlj Capital nota, oltretutto, che il bilancio aggregato delle tre principali banche centrali (Fed, BoJ e Bce) continuerà a crescere fino a tutto il 2018 e tornerà ai livelli attuali, presumibilmente, a dicembre 2021. Questa prospettiva può spiegare perché gli investitori non sono troppo preoccupati dalla fine dei quantitative easing.

I puntini sui tassi
Molto importante, come in ogni riunione di fine stagione, sarà l’annuncio dei “dots”, i puntini. Ciascun governatore comunica ogni tre mesi le proprie previsioni sull’andamento dei tassi che vengono riassunte dalla Fed in un grafico “a punti”. La media - o più precisamente la mediana - di questi punti permette di capire l’orientamento complessivo del board della banca centrale, e plasma in questo modo le aspettative degli investitori. Negli ultimi trimestri si è assistito a un progressivo - e prospettico - rallentamento della stretta. A giugno la mediana puntava a tassi ufficiali, attualmente all’1-1,25%, dell’1,25-1,50% per fine 2017 - e quindi ci si aspetta un altro rialzo, forse a dicembre - del 2-2,50% per fine 2018, del 3% a fine 2019 e nel lungo periodo. Dovrebbero essere annunciate, in questa occasione, anche le prime previsioni per il 2020.

La diagnosi sull’inflazione
Ulteriori variazioni nella velocità della stretta dipenderanno dalla diagnosi che la Fed ha elaborato sull’andamento dell’inflazione. Finora la presidente Janet Yellen ha manifestato la propria “fede” nella curva di Phillips: la disoccupazione, che ad agosto era al 4,4%, prima o poi si tramuterà in un accelerazione dei prezzi. Altri governatori cominciano però a essere scettici sulla possibilità che il costo della vita salga davvero al 2% solo sulla spinta del mercato del lavoro, mentre i dati effettivi sui prezzi, relativamente volatili, non mostrano un trend preciso (malgrado il rialzo del dato di agosto, pari al +1,9% dell’indice dei prezzi al consumo, che non è però l’indicatore di riferimento della Bce). È difficile che questi dubbi possano diventare la posizione ufficiale della Fed, ma ogni sfumatura - nell’analisi sull’andamento dell’inflazione - potrebbe diventare importante per gli investitori. Soprattutto se associata con variazioni nei “dots”.

Le proiezioni macroeconomiche
Anche a settembre, come ogni tre mesi, la Fed pubblicherà le proiezioni macroeconomiche, che completeranno l’insieme di informazioni rilevanti per plasmare le aspettative degli investitori. A giugno le stime prevedevano per fine 2017 un’indice di inflazione Pce (Personal Consumption Expenditures) in aumento dell’1,6% rispetto a dicembre 2016; a marzo puntavano all’1,9%. L’ultimo dato, relativo a giugno, era dell’1,6%, dopo un balzo - isolato - al 2% a marzo. L’inflazione core, prevista per dicembre all’1,7% (rivisto al ribasso dall’1,9% previsto a marzo) era a giugno all’1,5%.

La governance della Fed
Sarà inevitabile che, in conferenza stampa, emerga il tema della governance della Fed. Il Federal Open Market Committee, l’organismo che decide la politica monetaria, prevede 19 componenti: cinque del board “centrale”, dodici delle Fed regionali. Attualmente conta solo sedici persone, e il vicepresidente Stanley Fischer ha dato le dimissioni in anticipo, con effetto dal 13 ottobre.
La stessa Janet Yellen è in scadenza - il suo mandato termina il 3 febbraio 2018 - sia pure solo come presidente: il suo incarico nel board scade formalmente nel 2024, ma nel caso in cui non fosse confermata alla guida della banca centrale molto probabilmente uscirebbe definitivamente dalla Fed.
Difficile però che possano giungere dalla Fed indicazioni su nomine che competono al presidente e al Senato. Il tema, insieme a quello della deregulation del settore finanziario - già sollevato dalla Yellen a Jackson Hole a fine agosto - potranno però dare indicazioni sulla temperatura dei rapporti tra la banca centrale e l’Amministrazione Trump.

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