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Il re di Spagna accusa la Catalogna: «Slealtà inaccettabile»

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SCONTRO MADRID-BARCELLONA

Il re di Spagna accusa la Catalogna: «Slealtà inaccettabile»

Il re Felipe VI di Spagna (Ap)
Il re Felipe VI di Spagna (Ap)

BARCELLONA - Migliaia e migliaia di catalani in strada, nelle piazze di Barcellona, di Lleida, di Terragona, di Girona. Mezzo milione di cittadini, forse di più, di nuovo a manifestare per l’indipendenza e per condannare la violenza della polizia. Due giorni dopo il referendum continua e si rafforza la sfida della Catalogna, dei nazionalisti catalani, al governo di Madrid e alla Corte Costituzionale spagnola.

Il discorso del re
Poi in serata l’attacco diretto di Felipe VI alla Catalogna: «Le autorità catalane hanno violato i principi democratici dello Stato di diritto» con una «slealtà inaccettabile» e una «condotta irresponsabile», ha detto il re senza fare il minimo accenno alle cariche della polizia ai seggi contro chi voleva votare domenica scorsa. Mentre a Madrid il premier Mariano Rajoy sta cercando di definire un piano per contrastare la secessione che possa essere condiviso, oltre che da Ciudadanos, anche dai Socialisti che con l’appoggio esterno tengono in vita il suo governo.

Puidgemont: indipendenza a giorni
E a Barcellona, il leader della Generalitat, Carles Puigdemont, ha dichiarato in un’intervista alla Bbc rilasciata prima del discorso del re che la dichiarazione di indipendenza sarà fatta «alla fine della settimana o all’inizio della prossima» . I timori per una rottura che sembra ormai definitiva non si sono fatti sentire in modo significativo ieri sui mercati finanziari: l’Ibex35 è rimasto praticamente stabile chiudendo la giornata con un +0,02% mentre lo spread dei bonos rispetto ai decennali tedeschi si è alzato ieri di un solo punto base passando da 124 a 125.

Lo sciopero è stato proclamato da alcune sigle minori e non ha trovato l’appoggio dei grandi sindacati nazionali ma ha fatto da base alla mobilitazione delle bandiere indipendentiste. Barcellona e l’intera regione sono state a lungo bloccate: i trasporti pubblici si sono quasi fermati, il traffico su strade e autostrade è stato interrotto in più punti. Grande sostegno anche nel commercio, nell’agricoltura e tra i lavoratori del porto. Quasi totale l’adesione dei dipendenti pubblici negli ospedali, nelle scuole e nelle amministrazioni locali.

Le manifestazioni
Le manifestazioni si sono svolte in modo molto pacifico. Le tensioni maggiori si sono concentrate davanti alle sedi della polizia nazionale spagnola a Tarragona, Girona e in via Laietana, nel centro di Barcellona, quando la folla ha gridato: «Fuori le forze d’occupazione!». Anche in alcuni centri minori dell’entroterra catalano la polizia nazionale è stata presa di mira. La vicepremier spagnola, Soraya Saenz de Santamaria, si è detta «indignata per il trattamento che stanno ricevendo gli agenti della polizia e della Guardia Civil» e ha denunciato «il comportamento mafioso» che anche molte amministrazioni comunali starebbero tenendo contro le forze dell’ordine sul territorio. «Il governo spagnolo - ha ribadito Santamaria - è impegnato a difendere i diritti e le libertà di tutta la comunità spagnola, gli stessi diritti che sono stati sistematicamente calpestati dalla Generalitat catalana». Ancora più duro e sprezzante, Rafael Hernando, il portavoce del Partito Popolare al Congresso: «In Catalogna - ha detto - qualcuno nella sinistra estrema e indipendentista sta sperando che prima o poi negli scontri muoia qualcuno».

La via stretta
Nonostante lo sciopero e le manifestazioni, quella di ieri è stata una giornata di riflessione per Rajoy e per Puigdemont. Il premier spagnolo è stretto tra Ciudadanos che chiede di applicare subito l’articolo 155 della Costituzione per commissariare la Generalitat e, dall’altra parte, i Socialisti che premono per tornare al dialogo con Barcellona. «Il 155 deve avere il massimo appoggio possibile - ha affermato il portavoce Hernando - perché non sappiamo se risolverà il problema. Se lo appoggia solo una forza politica è difficile che trovi il sostegno dei catalani». E anche Puigdemont, che non ha trovato l’appoggio dell’Unione europea alla quale aveva chiesto una mediazione, sta prendendo tempo.

Dopo il referendum di domenica la rottura tra Madrid e Barcellona sembra ancora più definitiva: non tanto per i 2,3 milioni di votanti, del resto tutti da verificare, ma per l’incapacità di Rajoy di dare una risposta politica alla crisi, scegliendo invece di mandare la polizia a caricare i catalani ai seggi. L’intervento di Felipe VI difficilmente potrà riportare la Catalogna a dialogare.

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