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I cinque punti chiave della riunione Bce sul tapering

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POLITICA MONETARIA

I cinque punti chiave della riunione Bce sul tapering

La Bce è pronta a cambiare marcia. Nella sua riunione di ottobre, con tutta probabilità, annuncerà una nuova fase del suo Qe, attiva da gennaio, con una riduzione degli acquisti di titoli a 30-40 miliardi dagli attuali 60; e il loro progressivo azzeramento nella seconda parte del 2018. Ecco i cinque punti chiave da tener presente nell’annuncio e nella conferenza stampa del presidente Mario Draghi.

Il ritmo degli acquisti
È un vero tapering, o no? La Banca centrale europea deciderà oggi quanti titoli acquisterà, al mese, una volta finita l’attuale fase – che prevede 60 miliardi al mese – a dicembre. A partire da gennaio, l’ammontare potrebbe passare a 40 o forse a 30 miliardi. Molto dipenderà da quanta prudenza vorrà usare la Bce in una situazione in cui l’inflazione non dà segnali chiari di voler tornare al 2%, l’obiettivo della politica monetaria, in modo autosostenuto.

Il ritmo del rallentamento degli acquisti andrà valutato soprattutto ipotizzando lo scenario peggiore: cosa accadrà se l’inflazione dovesse tornare a scendere? Il ritorno alla “normalità” dei 60 miliardi suonerebbe come uno strappo (correndo il rischio di allarmare i mercati) o come una semplice revisione della strategia? Analogamente la durata della nuova fase, e della successiva, l’eventuale indicazione di una data per l’azzeramento del quantitative easing (è probabile che sia a dicembre 2018) definiranno il nuovo orientamento della politica monetaria.

La diagnosi sull’inflazione
Ogni valutazione sul ritmo degli acquisti dovrà prendere come punto di riferimento, inevitabilmente, la diagnosi che la Bce farà dell’andamento dell’inflazione e la sua coerenza con dati e realtà economica. La Banca centrale – come del resto, in una situazione parzialmente diversa, la Fed americana – fa

molto affidamento sul fatto che la crescita e la conseguente occupazione si trasformino in un’accelerazione dei prezzi fino al livello desiderato e che il ritardo dell’inflazione sia legato a fattori temporanei: le aspettative - hanno spiegato diversi governatori - si fonderebbero su un passato di bassa inflazione, proiettandola nel futuro. Al momento le proiezioni Bce puntano a un'inflazione annua media, per il 2019, dell’1,5% decisamente insoddisfacente rispetto alle stesse valutazioni dell’autorità di Francoforte. Sarà allora importante valutare la forza degli argomento con i quali il consiglio direttivo giustificherà la riduzione degli acquisti, soprattutto nel caso di una riduzione brusca degli acquisti, al di sotto dei 40 miliardi.

La forward guidance
Alcuni analisti e investitori nutrono attese anche sulla forward guidance, l’indicazione delle future mosse della Bce. Sembra davvero improbabile che la Banca centrale possa cambiare la sua idea sui tassi di interesse, che intende alzare solo dopo la fine del quantitative easing. Novità, su questa successione ben definita di interventi - prima si “smonta” il Qe, poi si toccano i tassi - richiederebbero giustificazioni molto forti, e correrebbero il rischio di scatenare nervosismo sui mercati.

Non si può in realtà escludere a priori che i tassi negativi sui depositi – e solo quelli – possano diventare inutili o inefficaci prima della fine del quantitative easing, ma la Bce vorrà preparare ogni intervento sul costo del credito. In ogni caso,la forward guidance merita attenzione, soprattutto nella parte che descriva cosa la Bce è pronta a fare nel caso in cui le condizioni dell’economia e dell'inflazione dovessero peggiorare.

L’euro e le condizioni finanziarie
Da fine luglio in poi, la Bce ha richiamato l’attenzione sull’andamento delle condizioni finanziarie e, quindi dell’euro che aiuta a definirle: minacciavano di irrigidirsi troppo, puntando a livelli che avrebbero potuto negare l’orientamento della Bce. Il richiamo del presidente Mario Draghi fu piuttosto forte: nel caso in cui i mercati fosse andati al di là di quanto la politica monetaria fosse in grado di accettare, sarebbe stato necessario “spingerli” a correggere il tiro – per esempio aumentando, e non diminuendo gli acquisti di titoli.

Non è stato necessario, a quanto sembra: l’euro ha interrotto il rialzo e si è stabilizato, le condizioni monetarie non si sono irrigidite troppo. Sarà importante se, in conferenza stampa, Draghi vorrà dichiarare il “passato pericolo”.

I prestiti alle aziende e le sofferenze
Il quantitative easing ha avuto lo scopo di “liberare” i bilanci delle banche per permettere loro di finanziare le imprese, incentivandole a impegnarsi nell’economia reale. I risultati ci sono stati, ma forse sono meno brillanti di quanto ci si potesse augurare in un’economia – quella di Eurolandia – molto legata al canale creditizio come fonte di finanziamento. La Bce tende a valutare molto positivamente l’andamento dei prestiti (e sicuramente non le piacerebbe un eccessivo surriscaldamento del credito), soprattutto quelli destinati alle famiglie.

In un momento in cui la vigilanza della Bce – che è indipendente dal board a cui è affidata la politica monetaria – si mostra severa sul fronte delle sofferenze, con ricadute sulla concessione di credito inevitabili anche se forse “locali” rispetto alle dimensioni di Eurolandia, ogni eventuale indicazione sui prestito potrebbe però risultare importante. Anche per capire i motivi che spingono davvero a fissare la fine del quantitative easing.

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