DAL NOSTRO INVIATO
LISBONA - «Compagnie come Google hanno il dovere di non abusare del proprio dominio. E invece lo hanno fatto. Per questo le abbiamo multate». Margrethe Vestager è il commissario europeo alla concorrenza che si è guadagnata la fama di «terrore delle multinazionali» per aver fatto scontare la legge anche ai colossi del Web: dalla maxi-sanzione di 2,4 miliardi di euro a Google per abuso della posizione dominante all'obbligo, imposto ad Apple, di restituire all'Irlanda 13 miliardi di euro rimasti in arretrato grazie ad accordi siglati con il governo locale.
Anche al Web Summit, evento mondiale delle tecnologie in corso a Lisbona, Vestager è andata oltre la retorica della «trasformazione digitale» per ribadire la sua agenda: regolamentazione e tassazione dei colossi tecnologici, accusati dal palco principale dell'evento di «non essere all'altezza delle proprie responsabilità» quando si parla di rispetto delle norme sulla competizione. Gli oltre 2 miliardi attesi da Big G serviranno a «stimolare la competizione», mentre si annunciano misure più strette per il futuro.
I fronti caldi: monopoli, benefit e l'incognita big data
Sia nel suo intervento sul palco che nell'incontro a porte chiuse con i giornalisti, Vestager ha ribadito le priorità nel contrasto ai meccanismi «anticompetitivi» che sbilanciano il mercato a favore delle multinazionali. L'antitrust della Ue continuerà a vigilare sui rischi di abuso del proprio dominio commerciale, come quelli contestati a Google con il suo servizio Shopping (Big G, secondo l'accusa, favoriva le sue inserzioni aumentandone la visibilità ai danni della concorrenza); le pratiche di «benefit selettivi» garantiti da alcuni governi ai colossi stranieri, come nel caso di Dublino e del suo occhio di riguardo per Apple; le fusioni che minacciano di «chiudere le porte» alla competizione, accorpando quote troppo ampie di un settore in pochi gruppi. Infine un terreno ancora «in esplorazione», ma sempre più decisivo: la sorveglianza sui big data, intesa come la garanzia che le informazioni diffuse online non si concentrino nelle mani di un nucleo ristretto di concorrenti. Lo stesso timore che aveva fatto scattare delle verifiche sull'acquisizione da 26,2 miliardi di dollari del social network Linkedin da parte di Microsoft, poi cadute perché «ci siamo resi conto che anche i rivali avevano accesso a un numero sufficiente di dati – ha detto Vestager – Ma questo non esclude che torneremo a vigilare».
Paradise papers? Bene, ma la trasparenza non può dipendere solo dagli hacker
Vestager insiste sulla necessità di nuovi paletti su trasparenza fiscale e privacy, anche se nel suo intervento di questa mattina non ha precisato quali. Rispondendo ai giornalisti, il commissario è però entrato più nel dettaglio, anticipando che «stanno venendo discusse» regole sul trattamento dei dati personali («La gente non si fida più») e tassazione dei grandi gruppi, secondo i principi che tengono in piedi la cosiddetta Web Tax: l'ipotesi di un testo unico per la tassazione dei ricavi delle società digitali, oggi sottoposto dalla Ue a una consultazione pubblica fino al 3 gennaio 2018. La logica, spiega, sarebbe quella di «far tassare in Europa i profitti generati in Europa», alludendo ai vari schemi di elusione architettati dai grandi gruppi tech per pagare il minimo al fisco. Sul lungo periodo, però, l'intenzione è di aumentare il grado di trasparenza nella gestione finanziaria: «Dovremmo avere dei report paese per paese che obblighino i grandi gruppi a dichiarare informazioni di base – dice Vestager – Ad esempio quanto guadagnano o quanti dipendenti hanno. È il minimo».
L'argomento scivola anche sui Paradise Papers, i 13,4 milioni di documenti su conti offshore svelati da International consortium of investigative journalists (Icij), un consorzio internazionale di giornalisti. Tra le carte sputano nomi che vanno dalla Regina Elisabetta alla stessa Apple: «Mi sono congratulata, questo è come il giornalismo dovrebbe essere – dice Vestager – Però non possiamo affidarci solo agli hacker per avere informazioni così. La cooperazione internazionale sull'economia digitale si costruisce con la trasparenza».
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