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lo scontro nell’ue

L’Est Europa fa quadrato contro le riforme degli «occidentali» Macron e Merkel

Il premier polacco  Mateusz Morawiecki (a sinistra), lo slovacco  Robert Fico, l’ungherese  Viktor Orban e il primo ministro a interim ceco  Andrej Babis
Il premier polacco Mateusz Morawiecki (a sinistra), lo slovacco Robert Fico, l’ungherese Viktor Orban e il primo ministro a interim ceco Andrej Babis

Polonia e Ungheria sono costrette a rivedere i loro piani sull’Europa. Stanno tentando di contrastare il patto tra Emmanuel Macron e Angela Merkel. Si sentono infatti minacciate dal progetto che il presidente francese e la cancelliera tedesca stanno portando avanti per rinnovare e rafforzare l’Unione. La questione è tutta politica anche se le ragioni dell’economia e gli aspetti più economici della proposta Macron potrebbero spostare gli equilibri. E i negoziati sul budget Ue a partire dal 2021 potrebbero avere un peso non marginale per i Paesi dell’Est che continuano nella loro rapida espansione anche grazie al sostegno delle risorse comunitarie che ricevono.

«L’Europa ha bisogno di un nuovo piano. E dobbiamo partire da un’alleanza tra nazioni autonome e indipendenti», ha detto ieri il premier ungherese Viktor Orban al termine della riunione del gruppo di Visegrad, che mette assieme Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia, spesso in contrapposizione a Bruxelles. «Un’Europa forte e integrata deve essere basata su Stati nazionali sovrani e non su una federazione sempre più centralizzata come vorrebbero alcuni governo occidentali», ha ribadito il primo ministro polacco, Mateusz Morawiecki, che pure è considerato tra i più moderati nella destra ultraconservatrice a nazionalista che governa a Varsavia.

I Paesi dell’ex blocco sovietico rischiano di diventare ancora più marginali e di perdere la loro voce a Bruxelles, temono di essere assorbiti in quel «modello di democrazie liberali, multiculturali e multireligiose» che da anni denigrano e combattono. Insistono sull’«Europa delle nazioni sovrane, sull’Europa delle patrie» ma devono affrontare, per la prima volta da tempo, un’iniziativa che mira a rafforzare l’integrazione nell’Unione, per di più partendo dall’euro e da un nucleo centrale che oggi non li include.

Sui migranti, sul rispetto delle regole della democrazia, sulla spartizione dei fondi Ue, hanno sfruttato i veti incrociati, i ricorsi, soprattutto le indecisioni e le lentezze dei processi decisionali comunitari. E hanno sfidato i partner europei ben sapendo di potersela cavare con un richiamo, una minaccia di sanzioni e poco di più. L’impeto rinnovatore di Macron sembra tuttavia aver dato forza anche alla Commissione Ue che, non era mai accaduto, ha aperto una procedura di infrazione contro la Polonia per aver violato lo Stato di diritto: la riforma del sistema giudiziario voluta dalla destra polacca minaccia infatti l’indipendenza della magistratura assoggettando anche i giudici ai controlli del governo. Quello della Commissione resterà probabilmente un atto simbolico, ma messo assieme ai richiami fatti all’Ungheria e qualche giorno fa alla Romania - sempre e soprattutto sulla necessità di salvaguardare l’indipendenza della magistratura - segna una svolta nelle relazioni all’interno dell’Unione.

Ma è sulla gestione dei flussi dei migranti che lo scontro tra l’Unione europea e i membri dell’Est continua ad essere frontale. Nel documento firmato ieri, i quattro di Visegrad si concentrano sul «rafforzamento delle frontiere e della sicurezza comune per evitare l’imposizione di quote obbligatorie per la redistribuzione dei migranti, quote che sono inefficaci e hanno già diviso l’Europa». In modo più diretto il premier slovacco Robert Fico ha respinto ogni critica: «Non possiamo essere attaccati solo perché abbiamo opinioni diverse sulle quote dei migranti. Non siamo le pecore nere dell’Europa», ha detto spiegando inoltre che nel gruppo di Visegrad «non desideriamo vedere la creazione di comunità musulmane nei nostri Paesi, che hanno radici cristiane».

Macron, tuttavia, è stato tranciante: «L’Europa ha la missione storica di difendere la libertà e la democrazia, minacciate da demagogia ed estremismi», ha spiegato a più riprese il presidente francese sottolineando che «l’Europa non è un supermercato, ma un destino comune». E ancora ha aggiunto: «L’Europa ha bisogno di una strategia per i prossimi dieci anni ma in 27 non saremo in grado di realizzare un obiettivo così ambizioso. Dobbiamo cambiare metodo e smettere di aspettare che tutti siano pronti. Chi non lo è non può fermare gli altri».

I Paesi dell’Europa centro-orientale stanno attraversando una fase economica molto positiva, con il Pil in forte crescita e la disoccupazione ai minimi storici. Gli attriti con i Paesi occidentali e con Bruxelles non aiutano il clima generale per le imprese e gli investimenti. Per alcuni Paesi si tratta di scegliere tra l’Occidente e il ritorno sotto l’influenza della Russia. Il risultato delle elezioni presidenziali di oggi nella Repubblica Ceca farà capire qualcosa di più sulla deriva populista dell’area: al secondo turno Jiri Drahos dopo una campagna tutta orientata all’Europa cerca di scalzare Milos Zeman, grande amico di Vladimir Putin che nei comizi ha cavalcato la paura per l’Islam in un Paese dove i migranti quasi non esistono.

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