Più forte della retorica dell’America First, più forte dei dazi annunciati e della minaccia di stracciare i trattati di libero scambio: nel primo anno di mandato del presidente Donald Trump, il deficit commerciale statunitense ha accelerato la sua corsa e a dicembre del 2017 ha fatto segnare un nuovo record dalla recessione del 2008, sia per il dato annuale, sia per quello mensile.
Nei 12 mesi, il gap si è allargato a 566 miliardi di dollari (beni e servizi), con un incremento del 12%, ai massimi dal 2008. Nel solo mese di dicembre, secondo i dati appena forniti dal ministero del Commercio Usa, il deficit è salito del 5,3%, a 53,1 miliardi di dollari: il gap mensile più ampio dall’ottobre del 2008. In parte, questa accelerazione si spiega con la ripresa dei prezzi delle materie prime e il calo del dollaro. Tuttavia, secondo alcuni analisti, a peggiorare il saldo di dicembre sarebbero state anche le minacce protezionistiche: gli importatori, infatti, avrebbero accumulato scorte per prevenire nuovi dazi. A gennaio, l’Amministrazione Usa ha annunciato pesanti tariffe su lavatrici e pannelli solari, con l’obiettivo di frenare l’import dalla Cina, il nemico pubblico numero uno nella retorica di Trump.
Contemporaneamente, altre tariffe sono state minacciate su acciaio e alluminio, insieme a una serie di sanzioni commerciali a tutela della proprietà intellettuale Usa, in quello che da molti è stato interpretato come un primo passo verso una guerra commerciale aperta. Del resto, secondo il ministro al Commercio, Wilbur Ross, la «guerra commerciale è iniziata da tempo»: l’unica differenza è che «ora le truppe Usa sono in trincea». Il deficit commerciale con la Cina è aumentato dell’8,1% nel 2017, a quota 375,2 miliardi di dollari (solo beni, senza considerare l’interscambio di servizi). Va anche ricordato, che a seguito dei tanti annunci, quelle di gennaio sono sostanzialmente le prime misure concrete varate a tutela del Made in America (ricorsi alla Wto esclusi).
Ed è soprattutto la ripresa dell’economia statunitense ad alimentare il disavanzo, con una accelerazione delle importazioni (+6,7%) che stacca quella pur significativa dell’export (+5,5%). Il trend dovrebbe trovare conferma nel 2018, quando potrebbe trovare ulteriore spinta proprio dalla riforma fiscale appena varata dal Congresso. Secondo analisti come John Ryding, di Rdq Economics, l’economia Usa girerebbe già a pieno regime o quasi e in queste condizioni, l’aumento della domanda generata dagli incentivi fiscali finirebbe per alimentare le importazioni. Il disavanzo commerciale, a sua volta, frena il Pil: di 113 punti percentuali negli ultimi tre mesi del 2017, quando la crescita ha comunque fatto segnare un +2,6% annualizzato, che ha portato il dato dell’intero 2017 al 2,3%. L’Amministrazione Trump è convinta che un minor deficit commerciale porterebbe la crescita Usa stabilmente sopra il 3% annuo.
A parte il disavanzo con la Cina, l’altro deficit politicamente sensibile, quello nei confronti del Messico, è salito di quasi
l’11%, a 71 miliardi di dollari (solo beni), il massimo dal 2007. Il dato complicherà ancora di più i già difficili negoziati
sul Nafta, l’accordo di libero scambio tra Stati Uniti, Canada e Messico, che Trump giudica «pessimo» e dal quale più volte
ha minacciato di ritirarsi.
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