L’ostacolo più temuto per l’economia tedesca non è il protezionismo di Trump, né l’apprezzamento dell’euro o la carenza di credito. Il freno alla Locomotiva che va a pieni giri potrebbe essere, nel 2018, il gap tra domanda e offerta di lavoro. Per la prima volta è questo timore a staccare di gran lunga tutti gli altri fattori di rischio. In otto anni, dal 2010, è quadruplicato. Lo dicono le 26mila aziende interpellate dall’associazione delle Camere di commercio - Dihk, Deutscher Industrie und Handelskammertag - che ha previsto, quest’anno, una crescita del Pil del 2,7 per cento, la stima finora più rosea per la Germania.
Nel sondaggio di febbraio, la mancanza di lavoratori specializzati viene considerata un rischio per la crescita del business dal 60 per cento delle imprese, contro il 43% di soli due anni fa e il 16% del 2010. Per avere un’idea di quanto pesi questa preoccupazione, la si deve confrontare con gli altri fattori di rischio citati dalle imprese. La domanda interna rappresenta il 33%, quella estera il 27%, le condizioni finanziarie soltanto il 10%, il tasso di cambio, legato al rafforzamento della moneta unica europea, viene considerato un rischio dal 13% delle imprese; il 32% del campione è preoccupato dai prezzi dell’energia e delle materie prime, il 38% dalle condizioni di politica economica. Il fattore di rischio più elevato, dopo la carenza di manodopera, è il costo del lavoro (42%), non a caso legato proprio alla quasi piena occupazione che ha innescato richieste di incrementi salariali in tutta l’industria tedesca, a partire dalla metalmeccanica.
Dal sondaggio emerge che le aspettative di business sono ottime, l’aumento degli occupati e del potere d’acquisto stanno dando uno slancio con pochi precedenti all’economia. Il cielo volge al bello su tutti i fronti, con un effetto moltiplicatore. Grazie all’occupazione ai massimi dall’unificazione - nel 2017 la forza lavoro è aumentata di 638mila unità, pari all’1,5%, portando il totale degli occupati a 44,3 milioni su una popolazione di 82,5 - la domanda domestica sostiene la crescita; quando negli ultimi due anni le esportazioni hanno lievemente sofferto sono stati i consumi - liberati dai prezzi bassi dell’energia - a dare forza allo sviluppo. Adesso il boom globale spinge di nuovo la domanda di prodotti tedeschi dall’estero. La ciliegina sulla torta è l’espansione degli investimenti per la quale le aziende registrano il tasso più elevato di sempre, soprattutto nel manifatturiero. L’intenzione di ampliare la capacità produttiva è ai massimi dal 2007, cioè da prima dello scoppio della crisi finanziaria.
L’invecchiamento della popolazione, però, crea un disallineamento tra domanda e offerta di lavoro specializzato solo in parte compensato dall’ingresso di immigrati nel mercato del lavoro. A metà del 2017, secondo gli uffici federali del lavoro, il numero di posti disponibili in tutto il Paese (750mila) era in aumento, rispetto all’anno precedente, dell’11,3 per cento. Manifatturiero, trasporti, logistica, sanità sono tutti settori in grave affanno.
Al fattore demografico, inoltre, si affianca la veloce digitalizzazione dell’industria. E la carenza di figure professionali adatte a cogliere le nuove opportunità si aggrava. I profili più ricercati sono quelli legati alla trasformazione digitale, che derivano dai percorsi di formazione nelle aree STEM: business analyst, specialisti di Big Data, in Cloud, cyber security, IoT, robotics, cognitive & artificial intelligence.
«La grande lezione dei tedeschi è pianificare a sistema in anticipo - osserva Donato Iacovone, amministratore delegato di EY Italia - Lo hanno fatto con il piano Industria 4.0, che risale al 2014, nel quale trovavano posto non soltanto la previsione di sviluppo delle tecnologie ma anche le ripercussioni sulle competenze. Nonostante ciò non sono riusciti a colmare il gap». Anche nella gestione dell’immigrazione, continua il manager, la Germania ha un piano: cerca soprattutto laureati, ingegneri in particolare. Per questo ha in cantiere molti accordi con l’India che di ingegneri ne sforna 100mila all’anno. Ma sebbene si siano mossi in anticipo, persino i tedeschi sono alle prese con difficoltà in questo momento. In tale scenario la formazione diventa sempre più fondamentale, in Germania come in Italia. EY ha promosso perciò nel nostro Paese l’Alleanza per il lavoro del futuro che mette insieme aziende, università e scuole superiori.
«Il tema della formazione è ormai imprescindibile per la competitività delle aziende - conferma Jörg Buck, consigliere delegato della Camera di Commercio Italo-Germanica - i dati del Dihk lo evidenziano chiaramente per il mercato tedesco ma anche in Italia rileviamo la stessa priorità, anche in considerazione del successo del piano Industria 4.0. Ora l’obiettivo fondamentale è spostare il focus degli investimenti nei macchinari alla formazione e alla riqualificazione del personale. In questa ottica, ci auguriamo che il futuro governo italiano continui a incentivare le aziende sulla strada dell’Industria 4.0».
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