Mondo

Leadership di Merkel in declino, il suo destino appeso all’Spd

  • Abbonati
  • Accedi
Al bivio

Leadership di Merkel in declino, il suo destino appeso all’Spd

Afp
Afp

Il destino e la sopravvivenza politica di Angela Merkel nell'immediato dipendono, per quanto paradossale possa sembrare, dal futuro del partito socialdemocratico. Se i tesserati dell’Spd voteranno contro la Grande Coalizione – si saprà il 4 marzo - smentendo i pronostici prevalenti, la leadership già ammaccata della “Mutti”, mamma della Germania, subirà un duro colpo.

La Merkel, simbolo della stabilità politica e cancelliere dal 2005, con il “noGroKo” dei socialdemocratici incasserebbe l'ennesima sonora sconfitta personale, non essendo riuscita a formare un governo in cinque mesi di trattative, prima con la formazione Giamaica (Cdu-Csu, Liberali e Verdi), ora con Cdu-Csu e Spd. Uno stallo politico che non ha precedenti, che indispone l’elettorato e che si sta scaricando sulla Merkel appannando il suo carisma, con contestazioni che le piovono in testa da destra e da sinistra, non solo dai membri del suo partito.

Ma la Merkel intanto è già finita sulla graticola, nel suo partito: è stata contestata prima dai giovani e dai ranghi bassi e ora sempre più anche da personaggi di spicco ai vertici, soprattutto per aver fatto troppe concessioni all'Spd pur di fare la GroKo, «un'umiliazione». L'accordo per la Grande Coalizione è stato definito nel suo partito «il peggiore mai fatto nella storia moderna della Germania da un partito che ha vinto le elezioni». E si va oltre: le si rimprovera di non avere più visione e di aver allontanato i propri elettori dalla politica e dalle urne.
La fine della carriera politica della Merkel come potente leader della Cdu alla guida della Germania è data per certa, è solo una questione di tempo: per lo meno in casa, perché non è escluso che la Merkel nutra l’ambizione di divenire la Mutti d'Europa.

Una successione senza delfino
È dunque scattata proprio in queste giornate di attesa sul futuro della GroKo la corsa alla successione di Angela Merkel: preparando il terreno per le prossime elezioni. All’interno della Cdu stanno emergendo più pretendenti al trono, non essendo stato designato chiaramente finora un delfino.
Nella girandola dei nomi al momento il più gettonato è Jens Spahn, 37 anni, vice ministro alle Finanze, in ascesa e a destra della Merkel: prese apertamente una posizione critica sull'apertura ai rifugiati della cancelliera. Spahn gode di una buona rete di contatti in Europa ed è popolare in Germania: nella rituale riunione di partito lo scorso Mercoledì delle Ceneri, Spahn ha tenuto un discorso carico di emotività, nel Baden-Württemberg, promettendo che uno dei suoi principali obiettivi sarà annientare l'AfD. Ma per arrivare a tanto, dovrà annientare anche la Merkel.
In corsa per il dopo-Merkel anche Daniel Günther, premier nello Stato più settentrionale Schleswig-Holstein, Annegret Kramp-Karrenbauer leader nello Stato di Saarland, Ursula von der Leyen ministro della Difesa e molto vicina alla Merkel, ma anche molto ambiziosa.

La Merkel non piace più
La Merkel ha iniziato a perdere la presa sul suo partito e sull’elettorato con la sua apertura ai rifugiati siriani. Uno dei temi più discussi in Germania ora è su come integrare un milione e 300 mila rifugiati circa arrivati dal 2015 (oltre 800mila solo nel 2015): nessuno parla tedesco ma molti sono quasi analfabeti e la maggior parte avrebbe bisogno di quella formazione che serve per colmare la drammatica scarsità di manodopera specializzata. Un'impresa per molti tedeschi ardua, molto costosa se non impossibile.
Ma le critiche sulla leadership della Merkel si sono rafforzare di recente per altri motivi. È stata contestata, prima dai giovani e dai ranghi bassi e ora sempre più anche da personaggi di spicco ai vertici, per aver fatto troppe concessioni all'Spd pur di fare la GroKo: scotta molto la rinuncia al ministero delle Finanze. Uno strappo alla regola che non è piaciuto a chi avrebbe voluto che si continuasse sulla linea di Wolfgang Schäuble. L'accordo GroKo non è piaciuto alla Cdu anche perché non imposta alcune riforme che servono “assolutamente” al Paese come quella del sistema pensionistico (non si può andare in pensione a 63 anni in un Paese che ha il più veloce invecchiamento della popolazione in Europa e tra i più alti al mondo). E non ha convinto, soprattutto i giovani, il limitato sforzo sulla digitalizzazione, con la banda larga promessa per tutti ma solo entro il 2025. Ad altri non è andato giù l'aumento della spesa pubblica, una cifra record pari a 46 miliardi (con qualche taglio delle tasse) spalmati su quattro anni: nella Cdu si preferisce la cinghia tirata, perché il boom economico non dura in eterno e perché il debito/Pil deve calare in fretta (arriverà sotto il 60% già nel 2019, secondo stime di economisti autorevoli). Anche le concessioni fatte all'Spd sul mercato del lavoro non sono piaciute alla corrente più di destra: troppo severo l’intervento sui contratti a tempo determinato.

Un elettorato scontento
La Germania prospera come la locomotiva dell’Europa. Eppure gli elettori tedeschi, anche quelli della Cdu, è come se dessero per scontato il benessere procurato da una robusta crescita economica, saldamente oltre il 2 per cento, la piena occupazione e un tasso di disoccupazione che negli Stati più ricchi del Sud scende al 2,5 per cento. Non riconoscendo a nessun politico questo risultato, gli elettori chiedono un rinnovamento, un nuovo impulso della politica: reclamano più visione.
L'elettorato è scontento, e lo ha dimostrato nelle elezioni del 24 settembre punendo i tre partiti principali, che hanno avuto il peggior risultato dal Dopoguerra. I tedeschi si dicono delusi per la gestione del Governo di coalizione uscente, e scettici su quello in arrivo. Si rimprovera alla classe politica attuale, e la Merkel in veste di cancelliera, di non essere più in grado di affrontare con visione i problemi più pressanti che sono l’integrazione di rifugiati e immigrati, la sicurezza, la difesa, l’invecchiamento della popolazione, l’ammodernamento dell’industria manifatturiera e dei servizi. L’Europa non è di certo in cima alle preoccupazione dei tedeschi, ma anche la perdita di leadership sul futuro della Ue e dell'Eurozona, passata per ora alla Francia di Emmanuel Macron, non piace ai tedeschi che preferiscono avere l’ultima parola su tutte le grandi decisioni europee.

© Riproduzione riservata