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Unione bancaria e Eurozona: il difficile test europeo per l’Italia…

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il confronto roma-bruxelles

Unione bancaria e Eurozona: il difficile test europeo per l’Italia di Salvini e Di Maio

Il presidente francese Emmanuel Macron e la cancelliera tedesca Angela Merkel in un vertice a Bruxelles di fine febbraio
Il presidente francese Emmanuel Macron e la cancelliera tedesca Angela Merkel in un vertice a Bruxelles di fine febbraio

L’incertezza politica italiana, provocata dalle elezioni legislative di domenica, non poteva giungere in un momento più delicato della politica europea. A Bruxelles si stanno negoziando alcuni dossier che stanno particolarmente a cuore all’establishment italiano. Tra questi, il primo è relativo all’unione bancaria; il secondo al bilancio comunitario 2021-2027. Per la diplomazia italiana, inizia un periodo potenzialmente travagliato.

Il calendario politico è incerto. Fino a fine mese, ossia fino all’elezione dei presidenti delle due camere, il governo di Paolo Gentiloni rimarrà in carica per gestire l’amministrazione corrente (partecipando al vertice europeo del 22-23 marzo). Poi il testimone passerà al Capo dello Stato e alle sue consultazioni, la cui durata è impossibile da prevedere. I partner europei sono pronti ad aspettare l’Italia sui diversi dossier o le presenteranno l’esito del negoziato tra i Paesi membri come fatto compiuto?

Vista l’importanza economica e demografica del Paese, si deve presumere che prevarrà la prima opzione. Anche con un occhio all’elevato debito pubblico italiano, che è una minaccia per la stabilità dell’euro e in questo caso anche uno strumento di ricatto indiretto nelle mani di Roma, molti vorranno evitare di creare ulteriore ostilità europea in Italia. Ciò detto, i partner non potranno non voler approfittare della debolezza politica italiana per raggiungere alcuni loro obiettivi nazionali.

Come detto, il primo fronte è quello dell’unione bancaria. In questi anni, i Ventotto si sono già dotati di un Fondo di risoluzione bancaria per gestire le banche in difficoltà finanziaria e di una vigilanza unica, affidata alla Banca centrale europea (Bce). Manca ancora il terzo pilastro, ossia una assicurazione unica dei depositi creditizi, di cui si discute ormai da mesi. L’obiettivo in questo caso è di creare una responsabilità in solido tra i Paesi membri.

Il tema è delicato. Molti governi insistono perché vi sia una sufficiente riduzione dei rischi nei bilanci bancari prima di accettare una condivisione dei rischi. Viceversa, l’Italia e altri governi pensano che i conti bancari siano stati ripuliti a sufficienza. In gennaio i ministri delle Finanze si sono messi d’accordo per mettere a punto un processo a tappe nel quale sia in effetti possibile misurare i progressi già fatti in questi anni e quelli ancora da compiere (si veda Il Sole 24 Ore del 24 gennaio).

Oltre all’unione bancaria, si sta negoziando a Bruxelles una controversa riforma dell’unione monetaria. In questi mesi di campagna elettorale, Roma è stata lontana dai negoziati a due tra Parigi e Berlino; non è potuta intervenire sui dettagli,e in assenza di un governo stabile rischia di essere chiamata a valutare il programma franco-tedesco da un posto di seconda fila, insieme agli altri Paesi membri della zona euro, piccoli e medi.

L’altro grande tema negoziato in questi mesi a Bruxelles è quello del bilancio comunitario. Anche in questo caso l’Italia ha interessi precisi: vuole difendere la politica agricola comune e la politica di sviluppo regionale. Il negoziato settennale è tradizionalmente difficile. Questa volta lo sarà più del solito a causa della decisione del Regno Unito di lasciare l’Unione, provocando un buco di 10-12 miliardi di euro all’anno. Quanto prima ci sarà un governo a Roma, tanto più la diplomazia italiana potrà essere incisiva.

La Commissione europea pubblicherà il 2 maggio prossimo la sua proposta di bilancio. Il commissario responsabile del dossier, Günther Oettinger, ha già illustrato i tre filoni su cui sta lavorando: la taglia del bilancio (più o meno dell’attuale 1% del prodotto interno lordo); la creazione di nuovi capitoli di spesa (immigrazione, difesa e sicurezza); la nascita di nuove risorse proprie (il signoraggio, il mercato delle emissioni o l’imposizione societaria).

Infine, è da ricordare che entro il 30 aprile il governo deve presentare il Documento economico e finanziario. La normativa europea permette al governo senza pieni poteri di presentare un Def che preveda politiche immutate. Secondo la legge italiana, il Def deve essere varato dal governo entro il 10 aprile e poi approvato da una risoluzione in Parlamento nei 20 giorni successivi. In caso di scostamento rispetto al percorso programmato, i deputati devono approvare anche una relazione a maggioranza qualificata.

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