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PROTEZIONISMO

Trump alza l’asticella nella guerra dei dazi: il prossimo obiettivo è la Cina

Bandiere rosse in Piazza Tiananmen a Pechino (Afp)
Bandiere rosse in Piazza Tiananmen a Pechino (Afp)

NEW YORK - La Cina è nel mirino della prossima e ormai imminente offensiva di Donald Trump sul commercio: l'amministrazione americana, ispirata dai falchi di America First, sta mettendo a punto un duro piano contro Pechino a base di dazi su prodotti e di restrizioni nei visti e negli investimenti. Soltanto i dazi potrebbero colpire almeno 30 - e forse fino a 60 - miliardi di dollari di importazioni.

Stop al trasferimento forzato di tecnologia
Le misure, potenzialmente su un ampio ventaglio del made in China da tech e telecomunicazioni alle scarpe, potrebbero essere pronte per un annuncio entro una o due settimane. Frutto del completamento di un'indagine promossa dalla Casa Bianca che accusa la potenza asiatica di violazioni della proprietà intellettuale e indebite pressioni su trasferimenti di tecnologia ai danni di aziende americane. Il governo avrebbe concluso che i transfer forzati di know-how costano 30 miliardi l'anno.

Washington potrebbe anche presentare ricorso contro la Cina in sede di Wto, perseguendo una strada multilaterale nella lotta alle controverse pratiche cinesi. Ma questa pista appare seriamente indebolita dalla recente svolta protezionistica dell'amministrazione: nonostante le proteste degli alleati, Trump è reduce da dazi generalizzati contro acciaio e alluminio esteri per ragioni di sicurezza nazionale. Promesse di alcune esenzioni a paesi amici oltre ai partner del Nafta, Canada e Messico, sono tuttora oggetto di tesi negoziati. E Trump continua a rimproverare allo stesso Canada un surplus da correggere, senza riguardo a dati che mostrano Washington in attivo di 2,8 miliardi nel 2017.

Il «falco» Navarro
La spinta ideologica più convinta al drastico giro di vite contro la Cina arriva dal consigliere Peter Navarro - noto per i suoi pamphlet anti-Pechino screditati in ambito accademico ma apprezzati da Trump. Spetta invece all'ufficio del Rappresentante Commerciale, Robert Lighthizer, il più delicato incarico di preparare i dettagli d'una rappresaglia unilaterale legittimata dalla Section 301 della normativa commerciale americana. Una missione, questa, che quantomeno tradisce le preoccupazioni di molte aziende americane, gia' espresse sul fronte della siderurgia. Non per l'obiettivo di premere su Pechino ma per l'arma contundente brandita, dazi e nuove barriere, che minaccia di traumatizzare catene globali di fornitori e flussi di interscambio e provocare escalation verso incontrollate guerre commerciali. Il problema è che Trump vede la sua aggressività come uno strumento nazional-populista utile per strappare concessioni a partner e avversari.

La strategia in discussione all'interno dell'amministrazione potrebbe adesso concentrarsi sullo sforzo di minimizzare anzitutto l'impatto dell'offensiva anti-Pechino per l'economia statunitense, identificando prodotti che arrivano da altri paesi quali le calzature. Sotto tiro dovrebbero tuttavia finire anche settori strategici e di punta della competitività cinese che potrebbero invitare a ulteriori scontri, dalla robotica ai semiconduttori e ai veicoli elettrici. Sarebbero infine ridimensionati, nella strategia della Casa Bianca, i visti per studenti, accademici e dirigenti aziendali.

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